... come ogni altro. Il vuoto è forma

Pinot Gallizio. Bozzetti di ceramiche (mai realizzate dall'artista), 1957. Courtesy Archivio Gallizio, Torino

A sinistra: Antonio Siri, Piero Simondo, Luigi Caldenzano e Pinot Gallizio nello studio di Siri ad Albisola, 1965. A destra: Tiziana Casapietra, Alberto Viola, Roberto Costantino, Goshka Macuga ed Ernesto Canepa nello Studio Ernan, Albisola, 2006

Goshka Macuga, ... come ogni altro. Il vuoto è forma. Da Esperimento di pittura notte di Pinot Gallizio  1

Goshka Macuga, ... come ogni altro. Il vuoto è forma. Da Esperimento di pittura notte di Pinot Gallizio  2

Goshka Macuga, ... come ogni altro. Il vuoto è forma. Da Esperimento di pittura notte di Pinot Gallizio  3

Goshka Macuga, ... come ogni altro. Il vuoto è forma. Da Esperimento di pittura notte di Pinot Gallizio  4

Faccio uso di dispositivi espositivi di tipo tradizionale, che si richiamano a una dimensione di ambiente “totale” (Gesamkunstwerk), per esporre le opere di altri. In questo ambiente, il mio lavoro è distinto dagli altri e agisce in modo da facilitarne la lettura, tuttavia è organizzato sulla base di un accordo visivo con quelli, secondo una lettura complice dell’insieme, inteso come uno sforzo collettivo. Ogni opera si presenta all’interno di una cornice sovrimposta che indica l’autore, per alludere alla struttura sovrastante dell’istituzione. Questa imitazione della metodologia museale non è una strategia ironica, nel senso di una contrapposizione esplicita all’autorità del museo, ma è piuttosto uno stratagemma indiretto e poetico, che allenta le categorie e crea delle pause, cercando o determinando significati e innescando relazioni che chiamano in causa questioni legate all’autorità e si confrontano con l’individuo e la sua (di lui/di lei) singolarità ed esperienza.
La mia opera, l’ambiente totale che io ho montato, si articola all’interno dello spazio espositivo secondo precisi parametri che seguono l’architettura dell’allestimento. Di conseguenza, lo “storico” perde la sua dimensione primaria, diviene a-storico, non-storico e cosi via.
La presenza/assenza della storia è perciò inseparabile dalla partecipazione dello spettatore, che mostra l’indivisibilità della mediazione artista/curatore, interna all’istituzione, in quanto costrutto temporaneo. Nel corso delle mie ricerche sulla storia degli artisti che hanno lavorato ad Albisola, il mio interesse si è concentrato soprattutto su Pinot Gallizio. Nei suoi progetti, come la Caverna dell’antimateria e il Tempio dei Miscredenti, ho riscontrato, infatti, delle corrispondenze tra il mio metodo di lavoro e il suo.
Nel 1999, ho costruito presso la Sali Gia Gallery di Londra un ambiente che ho intitolato Cave (Caverna). Entrambi abbiamo cercato di creare degli ambienti “totali”, in cui potesse trovare posto lo sforzo collettivo.
Nel 1999 io non sapevo dell’esistenza di Gallizio, perciò è stato affascinante per me scoprire il materiale dell’Archivio Gallizio di Torino, in quanto mi ha permesso di inquadrare storicamente il mio lavoro in modo nuovo, aprendo una fruttuosa area di ricerca. Nei miei esperimenti albisolesi con la ceramica, ho voluto prendere in considerazione i primi esperimenti di produzione artistica di Gallizio e la sua collaborazione con Simondo. Nel 1954 avevano realizzato insieme, presso lo Studio Siri, maschere e vasi di ceramica che sembravano artefatti romani. L’opera è andata perduta e ora esistono unicamente una serie di immagini fotografiche e di disegni, che mi hanno fornito un’idea della sua estetica, ma non dei processi impiegati nella produzione delle ceramiche.

Goshka Macuga

Le ceramiche di Goshka Macuga sono state prodotte ad Albisola nel 2006 in occasione della III Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea.