Game

Olu Oguibe, Game

Olu Oguibe, Game

Olu Oguibe, Game (particolare)

Olu Oguibe, Game (particolare)

Olu Oguibe, Game (particolare)

Gioco

Il mio primo viaggio in Liguria è stato piacevole e indimenticabile. Tuttavia, il soggiorno è coinciso con un periodo di inquietudine e di tensione che si è concluso in tragedia. Mentre festeggiavamo il rinnovarsi della storica collaborazione tra gli artisti contemporanei e i ceramisti di Albisola, a Genova era in corso un violento scontro tra le forze dell’ordine incaricate di proteggere il G8, il raduno annuale dei leader delle otto maggiori potenze industrializzate del mondo, e le migliaia di militanti che si erano riunite per protestare contro l’ordine del giorno del meeting e le rapaci tendenze della globalizzazione. Le celebrazioni di Albisola, che hanno contrassegnato la prima edizione della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, erano state definite come “il volto felice della globalizzazione” perché si era riusciti a radunare artisti internazionali, convenuti per lavorare insieme e riconoscere la maestria e la rilevanza dell’industria locale, secondo una modalità che si potrebbe indicare come una positiva dimostrazione di glocalizzazione. Le nostre celebrazioni rappresentavano il volto felice della globalizzazione anche rispetto al raduno che si stava svolgendo a Genova, dove i potenti discutevano per decidere il destino di milioni di persone che non erano né rappresentati, né avevano la possibilità di contrastare le loro macchinazioni. In effetti, se da un lato la Biennale di Albisola e le collaborazioni che aveva innescato si presentavano come una dimostrazione delle positive possibilità di interazione tra globale e locale, il raduno di Genova rappresentava il volto tragico della vita contemporanea.
La tragedia ha acquisito un’indimenticabile dimensione drammatica quando a Genova un giovane attivista, Carlo Giuliani, è stato giustiziato a sangue freddo dalle forze dell’ordine e lasciato morente per la strada. Il contrasto tra questo incidente e le nostre celebrazioni è stato indelebile. Ad Albisola il calore e l’entusiasmo facevano da cornice ai racconti intessuti di rispetto professionale e di scoperta reciproca che si dipanavano dagli scambi creativi, mentre dall’altra parte otto potenti stranieri giunti con il loro seguito di guardie e auto blindate, si erano lasciati alle spalle una città in rovina e un giovane uomo a terra. Questo tragico paradosso mi ha accompagnato a lungo e per reazione ho scritto una breve poesia che ho intitolato La Ballata di Carlo Giuliani. Inoltre, mi ero ripromesso che se fossi ritornato in Liguria come artista, avrei creato un’opera d’arte imperniata sull’elaborata macchina che aveva condotto Carlo e i suoi compagni di protesta a Genova, una macchina talmente complessa e diabolica che pochissimi di loro sono riusciti a comprendere.
L’invito a tornare in Liguria come artista mi è giunto dai direttori artistici della Biennale, ma l’opera che volevo realizzare ha avuto bisogno di molto tempo per materializzarsi. Fino all’ultimo, non ho capito se le mie metafore avrebbero potuto combinarsi in modo appropriato per affrontare il tema che mi era venuto in mente più di un anno prima. Anche il titolo è sopraggiunto più tardi, dopo aver terminato il lavoro e lasciato la Liguria.
Come il suo soggetto, Game è un’elaborata installazione composta da un grande murale in ceramica, dall’occorrente per un gioco di simulazione, un tavolo e due sedie. A prima vista, il gioco sembra quello degli scacchi, con 64 riquadri in ceramica bianchi e neri che si alternano e un’insolita linea diagonale arancione. Però, invece del numero tradizionale di pedine degli scacchi, ho realizzato centouno figurine in terracotta. Non rappresentano né re, né regine, ma le masse di persone che oggi attraversano il pianeta. Immigrati, rifugiati, viaggiatori, cittadini, ognuno di loro è una pedina in questo gioco indeterminato e globale, in cui i veri giocatori e gli arbitri sono presenze opache o invisibili, che stanno al di là della portata dei cittadini ordinari. In questo straordinario gioco di potere, denaro, territori e desideri, le masse inconsapevoli vengono usate, sfruttate, spostate, evacuate, ripulite, svendute come meri incidenti collaterali, necessari e inevitabili. Le culture vengono sradicate e spazzate via dalle terre d’origine. Le popolazioni sono deportate nelle città a vagare sconvolte e disorientate. Chi emigra combatte, inesorabilmente e senza paura, in frontiere divenute sempre più strette. Comunque, le masse vanno avanti, una moltitudine di pedine, come la folla dei dannati dell’Inferno di Dante Alighieri, annullate non dalla morte, ma dalla civilizzazione e dal progresso.
Sul murale di ceramica si trovano otto figure, tutte maschili, che rappresentano i leader del G8. Ognuno indossa abiti coloniali, ispirati in parte all’arte dei pannelli murali del popolo Nkanu, che abita il Congo e l’Angola (a dire il vero, tutto il murale, nel suo progetto generale, trae ispirazione dai pannelli Nkanu). Nelle analisi che ho compiuto prima di realizzare il lavoro, ho cercato modelli africani che rappresentassero il colonialismo. In tutto il continente ho trovato un grande utilizzo del motivo dell’elmetto coloniale, forse perché era l’emblema più visibile degli ufficiali distrettuali che a quei tempi rappresentavano le autorità. Nell’epoca della globalizzazione, il buon senso appreso dalla storia suggerisce che la presenza coloniale, imposta dal colono in carne e ossa, è qualcosa di ridondante, per questo è stata rimpiazzata da un controllo remoto sull’informazione, esercitato dalle reti dei sistemi politici e mercantili globali, e dalla dispersione delle persone e delle risorse. Tuttavia, i recentissimi eventi della politica globale hanno fornito prove rilevanti del risorgere di un colonialismo “colonizzatore”. Nel montare la guardia sul resto del mondo, gli otto uomini forti del nuovo Impero sorvegliano e manipolano lo strano gioco dell’usurpazione e della dominazione globali. Come Cesare o re Leopoldo, spostano le loro forze ovunque vogliano, occupano qualsiasi terra scelgano, cacciano i governanti sgraditi e istituiscono nuovi regimi coloniali e armate d’occupazione. L’elmetto può essere diverso, ma i modelli non sono cambiati. In altre parole, i motivi e le metafore degli ufficiali distrettuali coloniali oggi si rivelano funzionali ed evidenti proprio come un secolo fa.
Ho prodotto l’intera l’opera nel corso di due sessioni di lavoro presso lo Studio Ernan di Albisola, nel 2002. In agosto, in due giorni di intenso lavoro, ho realizzato le 101 figurine di terracotta e ho iniziato il murale che ho terminato in pochi giorni a ottobre. Oltre alla possibilità di lavorare di nuovo con l’argilla, per creare un’opera che rispondesse in qualche modo all’esperienza e alle emozioni provate nel corso del mio primo viaggio in Liguria, lavorare ad Albisola è stato memorabile per molte altre ragioni. Serberò sempre nel cuore l’atmosfera spesso agitata, ma generosa, del lavoro con Ernesto Canepa e il suo laboratorio, Gianna, Annamaria e Bouchaib, tutti maestri artigiani che hanno tollerato la mia invasione del loro spazio, offrendo spontaneamente consigli e preoccupandosi sinceramente per me, avendo l’impressione che vivessi solo di Coca Cola e lavoro. Nel corso dell’estate e dell’autunno, ho vissuto una meravigliosa esperienza di lavoro ad Albisola e ho stretto nuove amicizie con artisti che fino ad allora conoscevo solo di fama. Nel laboratorio Ernan ho avuto la rara opportunità di lavorare con il mio amico Bili Bidjocka, un artista che rispetto molto e sul cui lavoro ho discorso a lungo. Dall’altra parte di Albisola, sono stato accolto nel laboratorio a conduzione familiare delle Ceramiche San Giorgio, dove vari decenni fa aveva lavorato Wifredo Lam e dove ho dipinto un piatto in ceramica da esporre, immaginando di essere al suo posto. Una diversa generazione, un volto diverso, ma grazie alla Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, permane lo stesso spirito.
Lavorare in Liguria è stata un’avventura gratificante e la raccomanderei a qualsiasi artista abbia il desiderio di una profonda esperienza creativa che si spinga al di là delle manovre di packaging delle pratiche artistiche contemporanee.

Olu Oguibe

Game di Olu Oguibe è stato prodotto ad Albisola nel 2003 in occasione della II Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea.

Olu Oguibe, La ceramica nell'arte contemporanea

Olu Oguibe, L’Africa alla Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea

Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea