Turkish delight

Hale Tenger, Turkish delight

Hale Tenger, Turkish delight

Hale Tenger, Turkish delight, Pinacoteca Civica, Savona, 2003

Delizia turca

Per la mia partecipazione alla seconda edizione della Biennale della Ceramica nell’Arte Contemporanea, ho voluto utilizzare una replica dell’antica figura in argilla di Priapo, appartenente alla collezione del Museo Ephesus di Selcuk, in Turchia. L’avevo già impiegata in precedenza come ready made — nelle sue versioni di pessimo gusto per turisti in gesso e ottone — in un’installazione a muro intitolata Conosco gente così, ideata per la terza edizione della Biennale di Istanbul nel 1992. L’installazione consisteva in un esercito di figure di Priapo che formavano una mezzaluna con una stella al centro, circondate sullo sfondo da scimmiette “non vedo - non sento - non parlo” e da altre stelle composte da vari Priapi sparse per tutta la composizione.
Priapo, come dio della fertilità, ebbe origine a Lampsacus, la moderna Lapseki, nella Turchia nord occidentale. Venne in seguito adottato dai Greci, che lo definirono figlio di Dioniso e Afrodite. Anche i Romani accolsero questo culto: la statua di Priapo veniva collocata nei giardini come una specie di spauracchio per tenere lontani, oltre agli animali nocivi, il malocchio e gli spiriti maligni. Con significato rinnovato, nel XX secolo è venduto nei negozi come spiritoso souvenir a carattere sessuale sotto forma di statuette di argilla o di ottone, oppure di ciondoli portachiavi. Piuttosto ironicamente, in alcune versioni contemporanee — quelle da me utilizzate in Conosco persone come queste — la testa è stata rimpicciolita rispetto alle versioni antiche, il che trasforma la figura di Priapo in una “testa di cazzo”.
Per aver creato questo lavoro sono stata processata e accusata di aver insultato la bandiera della Turchia. Perdemmo la causa, al processo di primo grado, perché la mia difesa si era basata sul fatto che le configurazioni di stelle e mezzelune sono utilizzate nelle bandiere di ben altre dodici nazioni e che nell’opera non era presente una vera bandiera. Il caso fu quindi portato in appello con l’accusa di aver leso e disonorato gli emblemi della nazione turca. Per evitare di farmi finire in prigione, questa volta il mio avvocato basò la sua difesa sul fatto che il lavoro simboleggiava l’oppressione universale/divina delle donne da parte degli uomini e che non aveva niente a che fare in modo specifico con l’essenza turca. Il risultato fu il proscioglimento dai capi d’accusa. Se le questioni legate al genere hanno qualcosa a che fare con l’opera — poiché effettivamente non sarei riuscita a comunicare la stessa idea se avessi utilizzato la Venere di Willendorf al posto della figura di Priapo — non era questo il mio primo intento nella realizzazione di quel pezzo. La libertà di parola ha i suoi limiti e io, all’epoca, non avevo potuto proclamare — a meno di non finire in prigione — che volevo criticare apertamente l’acre politica del potere al governo in Turchia — e in quel periodo in special modo nel sud est del paese. Nonostante ciò, era ben chiara quale fosse la lettura da dare a livello visivo all’opera e il pubblico lo comprendeva benissimo.
Dieci anni dopo aver realizzato quel pezzo, ho voluto utilizzare di nuovo la figura di Priapo, ma questa volta non nella sua versione riadattata. Ho impiegato, invece, una replica collegata al suo antico significato di celebrazione della fertilità. Per esprimere questo tema in modo gaio, sono ricorsa a una combinazione dei miei modelli favoriti, le tavole Iznik del periodo ottomano, spargendo quelle decorazioni su tutto il corpo della figura a guisa di tatuaggi. Ho applicato tulipani sulle braccia, fiori su tutto il corpo e rami di vite recanti graziosi grappoli d’uva intorno al fallo. La figura potrebbe essere anche considerata un pensiero augurale per celebrare le riforme a lungo attese, che dovrebbero aver luogo in Turchia. Infatti, stanno per essere finalmente attuate, ma sempre con una velocità minore e con prospettive più ristrette di quanto sperato. Non essendo comunque troppo ottimista riguardo al prossimo futuro e pensando che la confusione è l’elemento più comune che caratterizza la regione, ho preferito utilizzare i modelli delle nuvole delle tavole Iznik per adornare la testa della mia versione di Priapo, che ho chiamato Delizia turca.
In ultimo — e come cosa più importante — vorrei ricordare che è stato un grandissimo piacere incontrare e lavorare con Rina Moliardo, Luciano Figallo e Barbara Arto allo Studio Fenice di Albisola. Anche se ho alle spalle diversi anni di esperienza con la ceramica, ho preferito senza alcuna esitazione lasciare la realizzazione del progetto al tocco magico di Rina Moliardo che per me è stata un angelo.

Hale Tenger

Turkish delight di Hale Tenger è stato prodotto ad Albisola nel 2003 in occasione della II Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea.