La musica della ceramica dopo Giuseppe Chiari

Conversazione fra Mauro Castellano e Roberto Costantino



Giuseppe Chiari, Pezzo per pianoforte e ceramica



Roberto Costantino: Giuseppe Chiari ci ha insegnato a far venire meno ogni pregiudizio nei confronti della musica. La musica può essere qualsiasi cosa, si può Suonare una stanza, Suonare una città, così come si può suonare un pianoforte con i gomiti.
Tu hai interpretato il Pezzo per pianoforte e ceramica che Giuseppe Chiari ha composto per noi predisponendo di fatto un pianoforte preparato, un pianoforte in cui inserire volumi geometrici in terracotta - una semisfera, una piramide, alcuni parallelepipedi di diverse grandezze. Ti sei ritrovato ad adoperare queste ceramiche, seguendo proprio le indicazioni di Chiari, con il fine di “non controllare” il suono del pianoforte, che così viene alterato, sulla scia di una lunga tradizione d’avanguardia che a partire da John Cage informa di sé molta musica radicale della seconda metà del Novecento. Qui però c'è un vincolo che vuole, quale elemento complementare e di “disturbo” del pianoforte, la sola materia ceramica.

Mauro Castellano: Nel Novecento i concetti di suono e rumore vengono aboliti e il suono e il rumore diventano semplicemente sonorità. Questo fa sì che la nostra percezione si affini.
Luigi Nono metteva in relazione questo ascolto con il nostro mondo interiore e ci invitava a esteriorizzare l'interiorità. Ascoltare la musica contemporanea è molto utile per questo motivo. È chiaro che dipende da ciò che ci si aspetta. Si tratta di continuare ad acuire il nostro concetto di percezione. Per quello che riguarda Beppe Chiari, il pianoforte preparato discende da questa esigenza e rimanda a John Cage.
Il primo pianoforte preparato di John Cage nasceva da una necessità pratica. Cage doveva fare un pezzo per percussioni, ma per motivi economici non c'erano né percussioni né percussionisti e così preparò il pianoforte mettendoci viti, bulloni e oggetti di gomma. Cage segna in partitura dove vuole che vengano messe le viti, i bulloni o quei pezzi di gomma. Con Giuseppe Chiari, invece, la composizione rimane ancora più aperta, perché lui stabilisce dove vanno messi quegli oggetti in ceramica, ma poi non ne prevede le sonorità che si producono. Dal punto di vista dell'interprete, sia Cage che Chiari pongono qualche problema, perché tu studi il brano in casa, poi quando lo ripeti sul pianoforte preparato devi dissociare le dita dall'orecchio, perché percepisci altri suoni da quelli che avevi ascoltato. Ad esempio, le Sonate e gli Interludi di Cage sono delle partiture in sol minore piuttosto tranquille che però con il pianoforte preparato producono sonorità simili a un gamelan balinese. Lo stesso avviene con le ceramiche di Chiari che sono come degli objets trouvés.
Cage diceva che la preparazione del pianoforte equivale a scegliere delle conchiglie a caso, sulla riva del mare. È molto importante chiarire questo concetto: le persone devono aprirsi a una nuova concezione dell'ascolto. Abbiamo per contro i mezzi di comunicazione di massa, perché tutte le pubblicità e le musiche che ascoltiamo in televisione sono scritte ancora secondo il sistema tonale che era in voga fino ai primi del Novecento.

Roberto Costantino: Quando penso alla ceramica, in genere penso alla sua materialità. Viceversa, l'interesse nei confronti degli effetti immateriali della ceramica ci porta al suono che abita uno spazio aereo immateriale. Insomma, in quest'ultimo caso, del manufatto ci interessa sì la sua forma in sé – penso ai bei pittogrammi elaborati da Leonardo Gensini sulle sue ceramiche - ma anche e soprattutto gli effetti che il manufatto può produrre. Tu, Mauro, invece, con la tua composizione musicale Brevi onde di ritorno, in un duetto con Leonardo Gensini e le sue ceramiche, dipinte e suonate, ci porti dall'immaterialità della ceramica alla sua evocazione, attraverso la trasposizione dei suoni delle ceramiche in una partitura pianistica che li fa risuonare.

Mauro Castellano: Nel Novecento è chiesto a chi suona di decifrare quello che viene scritto e a chi ascolta di non ascoltare passivamente. La nostra disponibilità all'ascolto significa che il nostro ascoltare è sempre un pensare e quindi diventa creativo sia l'atto di scrivere e suonare che l'atto di ascoltare. Nel caso di Leonardo Gensini, tu vedi dei bei vasi, ma questi vasi risuonano se percossi. L'ineludibile Cage diceva che quandp un oggetto viene percosso, è la sua anima che risuona. Questo accade anche nel caso delle ceramiche di Leonardo e il pianoforte in quanto strumento a percussione non fa che echeggiare questi suoni. Sono suoni particolari, perché, producendo dei suoni che non sono intonati e, in quanto tali, non sono trascrivibili sul pentagramma, finiamo per superare il sistema temperato.

Roberto Costantino: Trisha Donnelly ha usato come base per la sua opera il famoso Preludio in Do diesis minore di Rachmaninoff che è caratterizzato da accordi che aprono il brano in fortissimo per ripetersi lungo il preludio segnato da un andamento agitato.
Trisha Donnelly ha pensato di “preparare” un pianoforte in cui ha fatto inserire ceramiche e campanelline che esasperano proprio questo andamento fortissimo e agitato del preludio. Il pezzo di Donnelly, a mio avviso, è bello e divertente per come “esagera” i cromatismi dell’opera di Rachmaninoff.

Mauro Castellano: John Cage, entrando in una camera anecoica, ovvero isolata acusticamente, percepì due suoni, uno alto e uno basso. Quando uscì da questa stanza chiese il perché di questi suoni: uno era il suono del suo sistema nervoso, l'altro era il suono del suo sistema circolatorio. Questo per dire che il silenzio assoluto non esiste e che pure il nostro corpo risuona.
Ho sempre detto che la più bella melodia del mondo è il respiro calmo di una donna amata che nella notte dorme accanto a te. Un respiro ricco di suoni armonici, vaganti, quasi impercettibili, che però sono all'origine del timbro e che i tedeschi con più precisione chiamano Klangfarbe, cioè “colore del suono”.
Una delle composizioni d'avanguardia più radicali è stata scritta nel Seicento ed è, a parer mio, “Il combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi. In quest'opera, Monteverdi accompagna il Canto della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso facendo pizzicare gli archi direttamente sulle corde, un po' come avviene con il pianoforte preparato, scelta che venne accettata naturalmente perché di accompagnamento di un testo.
C'è un precedente storico del pianoforte preparato che pochi conoscono, è del 1712. Joachim Wilhem Rust scrive una sonata per clavicembalo in cui al clavicembalista è imposto di pizzicare le corde, sempre all'interno del linguaggio dell'epoca, però con questa libertà. Poi, nel Novecento, per Cage, Bussotti, Chiari e tanti altri, è consueto che si usi il pianoforte pizzicando direttamente le corde all'interno. Non a caso ho citato Cage, perché gli americani non vengono da tutta la tradizione che noi abbiamo alle spalle. Il pianoforte non è più lo strumento di Schumann o Chopin. E Cage, proprio come un bambino, è come se scoprisse una sorta di nuovo giocattolo. E non è detto che, per un bambino, a un dito corrisponda un tasto - a un dito possono corrispondere anche due tasti. Questa è un'idea che Giuseppe Chiari ha spiegato e interpretato perfettamente. Pensa che un tempo, ad esempio, il pollice era bandito dalle esecuzioni pianistiche. Abbiamo un dipinto piuttosto famoso che ritrae Mozart mentre suona il pianoforte a quattro mani con la sorella e in cui si vede chiaramente che il pollice è messo sotto la tastiera. Chopin poi superò questo divieto, ma non solo, il pollice che scivola e crea un legato fra il tasto nero e il tasto bianco venne inventato proprio da lui. Il succo di questo discorso è che i grandi compositori sono sempre stati, tutti, compositori d'avanguardia. Ed è proprio per questo che li ascoltiamo ancora oggi.

Roberto Costantino: Nicola Cisternino riprende la scrittura cuneiforme, una delle prime forme di scrittura in uso per diversi millenni nel vicino Oriente, composta da particolari segni a forma piramidale e appuntita che venivano incisi sull’argilla. Cisternino ha fatto realizzare dal ceramista Ylli Plaka proprio delle tavole in argilla che fingono di essere reperti archeologici: la sua scrittura musicale si esplica proprio in questo modo, su questi supporti di terracotta, anziché sulla consueta carta. Questo, secondo me, è l'aspetto più interessante del suo intervento, ovvero la ripresa di una scrittura primordiale scomparsa che viene utilizzata quale scrittura musicale.

Mauro Castellano: Il titolo dell'opera di Nicola Cisternino è Preghiera per Baghdad ed è stata composta all'epoca in cui gli americani bombardavano la capitale irachena. Quest'opera è una preghiera per i tanti morti civili che ci hanno nascosto.
Cisternino usa questo tipo di scrittura cuneiforme, ma come si deve comportare l'interprete di fronte a questo tipo di scrittura? Non esiste un codice predeterminato, ma esiste la scrittura. L'interprete è dunque libero di associare a ogni segno un tipo di sonorità o una modalità di esecuzione. L'interprete può decidere che quel segno è da decodificare con una particolare sonorità, in base alla sua coscienza, alla sua esperienza di vita, a quello che gli suggerisce. Nulla di strano, perché già Botticelli diceva altrettanto: “se guardi le macchie di umidità su un muro, il nostro cervello congetturerà ugualmente dei paesaggi”. È quanto facciamo da bambini: la poltrona ha sempre gli occhi, la lavatrice la bocca…

Pietra Ligure, 12 agosto 2013