La ceramica e le vespe vasaie


Conversazione fra Roberto Costantino e Jorge Hernandez


Jorge Hernandez, Le vespe vasaie di Albisola. Fotografia: Fulvio Rosso



“Tante volte ho accompagnato visitatori al banco del vasaio e li ho sentiti trattenere il respiro come davanti a un puro miracolo della natura. Non fosse che per questo, al turista metterà sempre in conto di fermarsi e discendere, come l'antico profeta, nella casa del figulo.”
Angelo Barile, Al paese dei vasai



Roberto Costantino: Dopo secoli di grandeur, ci muoviamo sulle rovine di questo territorio di antica tradizione ceramica, dove ancora vivono le nostre amiche vespe vasaie. Come è nata questa tua passione per il lavoro artigianale delle vespe?
Jorge Hernandez: La mia famiglia doveva cambiare casa e per traslocare avevamo raccolto molti scatoloni di cartone in soffitta. Quando sono andato a recuperali, ho avuto una sorpresa: le vespe vasaie avevano fatto il nido sui bordi di alcune scatole.

R.C.:Quando hai visto questi nidi, hai subito pensato di cuocerli?
J.H.: Sì, erano di argilla e ho pensato che sarebbe stato bello cuocerli.

R.C.: Dunque hai prelevato queste incubatrici dal loro ambiente, dopo che le vespe vasaie sono cresciute e le hanno abbandonate, poi le hai messe nel forno portato a mille gradi di temperatura. Per dirla con la critica d'arte, il tuo gesto rimanda al readymade, così come è stato interpretato dal Nouveau Realisme francese fino all'Appropriazionismo americano: nel tuo caso però, si tratta di un oggetto prelevato dalla natura a cui segue la sua trasformazione attraverso la cottura. Perché cuoci queste architetture che in origine sono in terra cruda?
J.H.: Cuocio questi nidi per preservarli e renderli meno fragili. La prima volta che l'ho fatto avevo paura che si rompessero in cottura, però per fortuna sono costruiti a regola d'arte, senza bolle d'aria fra un colombino di terra e l'altro, e questo evita che esplodano nel forno.



R.C.: Le vespe vasaie costruiscono nidi di terra in luoghi protetti e ombreggiati come le soffitte, ma anche nelle nostre librerie o cassetti di armadi. Per sopravvivere devono tenere nascoste al nostro sguardo le loro architetture. Noi, come investigatori, vogliamo rintracciarle. Hai trovato queste opere anche in altri luoghi?
J.H.: Gli ultimi nidi di argilla che ho trovato erano aggrappati alla fodera interna di una giacca invernale che avevo lasciato in cantina.

R.C.: Tu, che provieni dalla Colombia, hai conosciuto questi insetti ad Albisola o li avevi già incontrati altrove?
J.H.: Li ho conosciuti ad Albisola. Prima non sapevo dell'esistenza di questo tipo di vespe che condivide con noi l'uso dell'argilla per costruire.

R.C.: Per costruire i nidi in cui far crescere la propria progenie, le vespe vasaie di Albisola usano la terra del nostro territorio. È davvero un piacere rivedere utilizzato, grazie a loro, il materiale che un tempo usavano i nostri antenati ceramisti. Le tue amiche vespe, dove si riforniscono di argilla?
J.H.: Abitavo ad Albisola Superiore, vicino al fiume Sansobbia e presumo che le vespe vadano ancora oggi a prendere l'argilla in riva al fiume, in quelle cave dove un tempo andavano a recuperarla i ceramisti.

R.C.: Le vespe vasaie raccolgono la terra cruda e con la propria saliva la rendono malleabile fino a produrre anche la cosiddetta barbottina, un legante liquido di consistenza cremosa che anche i ceramisti ottengono abitualmente impastando l'argilla con l'acqua e che viene usata per unire pezzi di una stessa opera lavorati separatamente. Il terzo atto a cui danno luogo è propriamente costruttivo, adottando una tecnica di costruzione che ancora oggi si insegna nelle nostre scuole di ceramica, la tecnica della colombina che consiste nel modellare alcuni “salamini”, i cosiddetti colombini, e nell'attaccarli uno sull'altro premendo la creta. Ma a ben guardare, questi nidi sono caratterizzati anche da volte a botte: lo stesso tipo di architettura che noi uomini adoperiamo da millenni per ottenere delle coperture non piane. Cos'altro hai imparato, in quanto ceramista, dalle tue amiche vespe?
J.H.:La vespa vasaia non si limita a mescolare la terra con la saliva, perché avrebbe bisogno di una quantità di saliva enorme. La vespa seleziona l'argilla, raccoglie una terra che ha già un tasso di umidità molto elevato, crea una palla con le zampe e la trasporta dove deve. Poi inizia a costruire nidi dalla forma modulare. La forma è indotta dalle possibilità del materiale e quindi è ridotta alla sua essenzialità, dettata anche dai contesti costruttivi contingenti. Inoltre, questa forma modulare si adatta perfettamente alle larve che i nidi dovranno contenere e di cui sembrano dei calchi.



R.C.: Queste vespe solitarie sono al tempo stesso artigiani e architetti: fanno tutto da sole, non praticano quella divisione del lavoro rappresentata da Adam Smith nel famoso esempio della manifattura degli spilli. Al contrario, la vespa vasaia assomiglia a quella figura di artigiano, messa a fuoco da storici delle arti applicate come François Burkhardt, che si rende artefice di ogni singolo aspetto del progetto, al di là di ogni differenza fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Questo è quanto più apprezzo del loro modo di lavorare. Cosa mi dici in proposito?
J.H.: Stavo cercando di ragionare come se fossi una vespa vasaia: nasco e ho la priorità di cercare la materia prima per costruire nuovi nidi. La missione è questa: trasferire di generazione in generazione il modo di sopravvivere.

R.C.: La vita di questi insetti solitari è concentrata nella costruzione di architetture che sono destinate a servire da incubatrici della generazione successiva. Il nido di terra è composto da una serie di celle che formano una struttura che può raggiungere le dimensioni di un pugno. Dopo la costruzione di una cella, la femmina cattura dei ragni, li paralizza pungendoli con il suo veleno e poi li inserisce nel nido. Successivamente deposita un'unica larva e sigilla la cella con la barbottina. Dopo aver terminato una serie di celle, la vespa se ne va e lascia che la larva cresca e si nutra autonomamente dei ragni fino a poter uscire. Che rapporto hai con le vespe vasaie nel periodo di costruzione delle incubatrici e mentre le larve stanno crescendo?
J. H.: Purtroppo non ho mai visto una vespa uscire dal suo nido, però l'altro giorno ho avuto modo di assistere alla raccolta dell'argilla da parte di due vespe.

R.C.: Il tuo lavoro con le vespe vasaie mi ricorda anche il modo di operare di molti artisti fluxus che hanno fatto del collezionismo - la raccolta e l'esposizione di oggetti - una propria opera, un modo di fare arte.
J.H.: In questo caso, come altri artisti, mi sento un collezionista. Mi è piaciuta l'idea di conservare questi nidi sapendo che erano stati costruiti dalle vespe: il collezionismo è un modo di ordinare e prendersi cura delle cose che ci appassionano. I nidi non sono passati inosservati ai mie occhi e ho creato una collezione coerente, esclusiva, di soli nidi.



R.C.: Sei venuto dalla Colombia ad Albisola per fare ceramica e, insieme a noi, hai anche lavorato per realizzare prototipi, ad esempio, di Andrea Branzi, Michelangelo Pistoletto, Franco Raggi, Giuseppe Chiari, Alberto Garutti, Corrado Levi e ora lavori da tempo con le vespe vasaie. La tua relazione con le vespe vasaie mi ricorda la relazione che intercorre abitualmente fra l'artista e l'artigiano: deleghi alle vespe quello che noi in genere definiamo lavoro artigianale. Ma, fai fare alle vespe quello che vogliono, oppure ti è capitato di modificare la morfologia delle loro architetture?
J.H.: Prendo i nidi e li lascio tali e quali, non sono nessuno per modificare costruzioni del genere.

R.C.: Il tuo gesto - il prelievo del nido di terra cruda dal suo contesto e la sua successiva cottura - è anche una modalità di straniamento: la trasformazione dell'architettura delle vespe vasaie in una scultura dell'uomo che ci permette di modificare il modo di vedere un oggetto altrimenti conosciuto. Questo effetto mi sembra il fine delle tue sculture ed è quello che più apprezzo. Anche per te è così?
J.H.: Tempo fa stavo navigando in internet e sono finito in un blog dove un utente, rivolgendosi ad altri, chiedeva: “Come faccio a distruggere i nidi di vespe che ho in casa?” Dopo aver letto questa domanda mi è venuto spontaneo chiedermi  come mai questa persona non ha visto quello che ho visto io. Perché vuole distruggere una simile cosa? Ho deciso di cuocere i nidi anche per farli conoscere. La vespa vasaia ci ridimensiona, ci cala in un ordine di grandezza più realistico, assolutamente salutare. Non penso che le vespe abbiano imparato da noi: è più probabile che siamo stati noi uomini ad aver preso esempio dalle loro architetture.

R.C.: Con quante vespe vasaie hai lavorato?
J.H. : Ho iniziato questa raccolta ad Albisola, adesso, invece, sto raccogliendo nidi in collina, a Stella, anche lì vicino a un fiumiciattolo. L'argilla però è diversa, di un altro colore. Le vespe vasaie mi hanno fatto notare meglio i diversi tipi di terra del territorio. Ho anche trovato dei nidi fatti con due o tre tipi di argilla, fra cui ho riconosciuto una mia terra bianca già semilavorata e di cui hanno approfittato. Insomma, le vespe vasaie testano la terra e selezionano quella che è umida al punto giusto per i propri scopi.

R.C.: Qualcuna di queste architetture che hai prelevato dall'ambiente, è sfuggita alla cottura, al tuo “fare scultura”?
J.H.: Gli ultimi nidi trovati, non li ho ancora cotti. Aspetto che passi l'inverno perché all'interno ci sono delle larve che stanno crescendo e vorrei che diventassero adulte.




Simonetta Fadda, Sono Vespa