Dietro le quinte...


Tiziana Casapietra



Tutto è cominciato perché Roberto1 invece di comprare piatti industriali ha chiesto a Danilo2 di proporgli qualcosa di artigianale, letteralmente “sfornato” dalla sua bottega. Gli piaceva l’idea di offrire agli amici trenette3 al pesto sui piatti della tradizione ligure. Danilo ha proposto allora a Roberto di divertirsi a farseli lui i piatti, proprio come se li immaginava: gli avrebbe messo a disposizione la bottega, la terra, i colori, il forno e poi se li sarebbero divisi. E’ così che usava fare anche negli anni 50 e 60 quando ad Albisola soggiornavano molti artisti proprio per lavorare con le locali maestranze di ceramica4: a produzione ultimata, metà del lavoro restava alla fabbrica, l’altra metà all’artista.
Roberto ha così trascorso tutto un giorno del mese di dicembre 1999 nello studio di Danilo a dipingere sui piatti quadrifogli portafortuna. Un inizio, certamente, di buon auspicio.
Finita la produzione di piatti, ci è venuta l’idea di continuare il divertente esperimento invitando a lavorare nella bottega di Danilo Trogu qualche artista… In questo modo avremmo veramente emulato quei “mitici” anni in cui, come si diceva, artisti come Lucio Fontana, Pinot Gallizio, Asger Jorn, Wifredo Lam e Piero Manzoni venivano ad Albisola per lavorare con i ceramisti locali.5
Il primo ad essere invitato è stato Sislej Xhafa e la sua risposta inaspettatamente entusiasta ci ha piacevolmente sorpresi. Successivamente abbiamo chiamato Alessandro Pessoli, Loris Cecchini, Perino e Vele e anche loro hanno colto l’idea di lavorare con la ceramica come una sfida interessante.
Pensavamo che la terra non avesse più alcun potere si seduzione sugli artisti; invece scoprivamo che l’idea di confrontarsi con questo materiale antico e con le maestranze locali, non li impauriva, anzi li incuriosiva.
Poche settimane dopo è arrivato in Italia Kristian Hornsleth. Invitato, ha accettato di venire ad Albisola in maggio, nello stesso giorno di Sislej.
A questo punto la vaga idea iniziale cominciava a prendere una definizione concreta; bisognava partire con la produzione dei lavori e con alcuni amici siamo riusciti a improvvisare l’accoglienza: Adelina Robotti si è offerta di ospitare gli artisti nella sua casa sulle colline sopra a Varazze. Da lì, tra gli ulivi, si assiste allo spettacolo del golfo ligure, e questo poteva certamente facilitare l’immedesimazione nel territorio di tutti gli artisti provenienti da realtà così diverse. Anche il café Pilar proprio di fronte alla spiaggia di Albisola ci è venuto in aiuto, proponendoci di offrire i pranzi.
Come d’accordo, la prima coppia di artisti, Sislej Xhafa e Kristian Hornsleth, arriva ad Albisola in un week-end del maggio del 2000. Sislej trasforma una lastra di terra in un tombino nero che ci chiede di esporre su una base rossa proprio come un monumento alle cloache metropolitane; Kristian si chiude in una stanzetta dove traduce in ceramica gli incubi delle favole del nord Europa. Una ferocia smussata attraverso il preziosismo del colore: la colatura d’oro che blocca l’energia vichinga in un gioiello.
La manipolazione dell’argilla fa innamorare Kristian di Albisola e decide, così, di voler tornare in estate. Lasciando tutti sbigottiti, torna veramente a fine giugno su un enorme furgone bianco e resta per tutto luglio. Si insedia per un mese nella bottega di Danilo dove produce ancora sculture su sculture: la definisce un’operazione catartica.
In piena estate vengono con noi ad Albisola anche Alessandro Pessoli e Loris Cecchini. Come nella migliore tradizione fantozziana (del resto: buon sangue non mente6), partiamo tutti insieme da Milano su una Panda 750 con il riscaldamento rotto e per cui sempre acceso. Ad Albisola, Pessoli trascorre un fine settimana a costruire e illustrare forme in ceramica. Successivamente, tornerà più volte a lavorare da Danilo per modificare e rifinire il lavoro, ma anche per seguire la costruzione del tavolo in ferro su cui verranno installati gli oggetti in terracotta.
Cecchini invece vuole riprodurre in ceramica cinque caschi da motocicletta, per cui occorrono dei calchi in gesso. E’ così che entra in scena Massimo Trogu7, mago dei calchi, che produrrà con dedizione e perizia quello per il lavoro di Cecchini. Una volta realizzati in ceramica e smaltati nei vari colori, i cinque caschi sono stati spaccati e ricomposti dallo stesso Cecchini. L’evidente fragilità della ceramica si impone su un oggetto, il casco appunto, contraddicendone la funzione di rassicurante elmetto salvavita.
Intanto arriva anche il progetto dei partenopei Perino e Vele che prevede l’esecuzione di un grosso cuscino in ceramica. Danilo prepara la forma e Perino e Vele vengono a lavorare ad Albisola in luglio. Sul cuscino disegnano una serie di riquadri in grado di conferire un senso di profondità alla superficie tramite l’illusione ottica della prospettiva.
Durante la stessa estate ci raggiungono Rainer Ganahl e Gianni Motti. Ganahl è arrivato in un torrido giorno d’agosto con sciarpa e berretto di lana per osteggiare una febbre incipiente. Per lui è stato necessario preparare un timbro con la data in cui sono state emanate in Italia le legge razziali anti-ebraiche: 19 novembre 1938. Questa data è stata impressa su dieci pesanti mattonelle in ceramica dal colore bruno scuro: una sentenza solenne.
Gianni Motti invece viene colpito dal fatto che Albisola non sia una ma due: Albisola Superiore e Albissola Marina, due diverse sedi comunali, due Sindaci, due Amministrazioni. Decide, allora, di proporre un lavoro ispirato a questa condizione di “separati in casa” e insieme a Danilo costruisce due urne. Il giorno dell’inaugurazione, dice, improvviserò un referendum in cui i cittadini saranno invitati ad esprimere la propria preferenza rispetto ad un’eventuale riunificazione delle due Albisole. Magari, scherza, scopriamo che i cittadini preferirebbero addirittura averne tre di Albisole e che quindi anche Albisola Capo (attualmente all’interno della giurisdizione di Albisola Superiore) fosse un Comune indipendente….
Anche Luca Vitone si è lasciato ispirare dal territorio e precisamente da un’amigdala, un coltello di pietra del paleolitico rinvenuto proprio in Liguria. Anche in questo caso, per riprodurre dieci amigdale in ceramica secondo le indicazioni di Vitone, è stato necessario costruire un calco in gesso. Una volta pronte, tutte le forme in ceramica sono state forate al loro interno così da trasformare l’amigdala paleolitica in un oggetto sempre attuale: il cylom. Ogni ceramica viene presentata in una piccola scatola di legno grezzo all’interno della quale è stata stampata la piantina del territorio ligure dove sembra sia stata rinvenuta l’amigdala originaria.
Arrivata in Europa da San Francisco in occasione del Video Festival di Locarno della scorsa estate, l’artista persiana Sohela Farokhi viene subito dirottata ad Albisola dove dipinge frasi del Corano su due mani in ceramica giunte in preghiera. Alla sera la portiamo in trattoria, nel cuore di Albissola Marina ad assaggiare il famoso minestrone alla genovese8.
Anche Momoyo Torimitsu, che era a Parigi per una mostra da Xippas viene dirottata su Milano, mentre Daniel Firman con la moglie Emaneulle ci raggiungono a Milano in treno da Lione. Partiamo per Albisola tutti e cinque sulla Panda (ancora adesso ricordiamo il viaggio come un buffissimo incubo, soprattutto quando sulla strada ripida che porta da Adelina le ruote della panda hanno cominciato a slittare fumando). Da Danilo, Daniel con l’assistenza di Emanuelle dipinge i dischi di terra che farà suonare durante la mostra; Momoyo Torimitsu modella un coniglio svenuto a pancia in giù e ci racconta della moda giovanile giapponese, il “Para Para”. Malgrado sia già Settembre, riusciamo a goderci uno degli ultimi bagni della stagione e alla sera grande cena da Danilo (che oltre tutto, è anche un ottimo cuoco).
Purtroppo, come talvolta succede quando si lavora con la ceramica, il coniglio di Momoyo si suicida nel forno qualche settimana dopo, esplodendo in mille pezzi. Corre in aiuto Massimo che, riassemblando i cocci rimasti, riesce a ricostruire la forma del coniglio e a preparare il calco in gesso necessario alla clonazione ed eventuale moltiplicazione del piccolo suicida.
Il vero ultimo bagno della stagione lo facciamo poche settimane dopo con Yuan Shun, che arriva da Berlino. Per lui Danilo ha dovuto preparare tre grandi uova in ceramica su cui Yuan ha inciso i segni dei I Ching quali simbolo degli elementi della natura. Una volta cotte, le tre uova sono state rispettivamente smaltate di rosso, bianco e nero.
Nina Childress arriva da Parigi in una piovosa giornata di Settembre. Ad Albisola traduce in ceramica le parrucche protagoniste dei suoi quadri. Danilo teme che, a causa dei troppi riccioli e delle volute azzardate, le parrucche facciano la stessa fine del coniglio. Invece, “tengono la cottura” e non perdono la piega… Amante della Lirica, alla sera Nina ci convince a seguirla al teatro Chiabrera di Savona.
Nello stesso periodo arriva anche Luca Pancrazzi che propone a Danilo di ricostruire in ceramica la copia del suo codice fiscale per cui è necessario un altro calco in gesso. In quanto pittore, Pancrazzi è poi sceso più volte a lavorare da Danilo per intervenire lui stesso con dedizione e perizia sui trentaquattro documenti in ceramica spessi solo un millimetro. Un’identità fragilissima.
Gli artisti partecipano con entusiasmo e ci stimolano a fare sempre di più, incitandoci a invitare più artisti. E così osiamo: in ottobre mandiamo un fax a Marisa Merz che sembra apprezzare l’iniziativa e ci raggiunge lo stesso giorno insieme a Mario Merz da Danilo ad Albisola dove nei giorni seguenti produce una testina in ceramica. Per ospitare i Merz è accorsa in nostro aiuto Paola Boggi dell’Hotel Garden di Albissola Marina. Purtroppo, Marisa riparte portandosi via la testina in ceramica che, con nostra profondissima delusione, ad Albisola non tornerà più (suppongo che la vedremo presto esposta altrove).
Il numero degli artisti cresce e dobbiamo allargare la rete dei collaboratori. Ceramphoto si rende disponibile a riprodurre su mattonelle di ceramica le finte copertine di riviste elaborate da Uros Djuric. Si tratta di fotomontaggi che ironizzano sull’immagine stereotipata del popolo serbo così come è stata propagandata dalla spettacolare stampa occidentale.
E’ in questo periodo che compare all’orizzonte un altro salvatore, Ernesto Canepa che come Danilo ci mette a disposizione la sua fabbrica, lo Studio Ernan Design, dove uno dopo l’altro portiamo altri dieci artisti. I virtuosi della ceramica Bertozzi & Dal Monte Casoni (quelli che in ceramica fanno anche le mutandine) decidono di saccheggiare lo studio Ernan per fare man bassa di piatti della tradizione locale con i quali costruire il loro azzardato e folle assemblaggio di oggetti tra i più disparati: riprodotto in ceramica c’è persino un teschio.
In ottobre, arriva da Parigi Bili Bidjocka. Ernesto Canepa aveva precedentemente preparato per lui una lastra di terra che Bili ritaglia in varie forme successivamente cotte e dipinte di nero. Come in un puzzle di pezzi neri, le forme dovranno essere affisse a parete fino a delineare la sagoma di un vestito pezzato.
Ana Laura Alaez è arrivata da Madrid lo stesso giorno di Costa Vece che invece proveniva da Zurigo. Il progetto di Ana Laura prevedeva la costruzione di due tavolini da te della stessa identica forma ma di diverso colore: uno rosa e uno bordeaux; su ciascun tavolino è stata poi posta una tazza e un piattino della stessa identica tonalità di smalto. L’intenzione di Ana Laura era quella di conferire alla ceramica un vago sapore di design industriale dove la manualità dell’artigiano fosse il più possibile ridotta al grado zero.
Costa Vece, con l’aiuto di Mohammd Lamrahi dello Studio Ernan, ha costruito una torta nuziale in ceramica con tanto di decorazioni: un monumento pop di panna, ciliege e bignè… ahimè solo in terracotta. Elke Krystufek ha chiesto che venisse modellato un wc con le braccia sulle quali appoggiare un cellulare e un computer portatile, tutto in ceramica. La Krystufek ha poi voluto che Anna Maria Pacetti9 la ritraesse, dipingendo il suo volto con tanto di barba posticcia nientepopodimeno che dentro alla tazza del cesso.
Fare venire Nicola Costantino dall’Argentina per produrre il suo lavoro ad Albisola era davvero troppo complicato. Così ci ha mandato un suo modello in vetroresina di dimensioni naturali del feto morto di un vitello. Da questo modello, Canepa ha tratto il calco in gesso necessario alla riproduzione in ceramica di sei vitellini. Posti uno di seguito all’altro secondo un andamento circolare, i vitellini mai nati e colorati di un tenue rosa carne costruiranno una sorta di bassorilievo a parete.
Soo-Kyung Lee è arrivata ad Albisola da Seoul dopo diciasette ore di volo e un viaggio di tre, sempre nella solita Panda, da Milano. E’ arrivata per raccontarci in inglese la storia di un’antica leggenda coreana. La favola che ho simultaneamente tradotto in italiano, è stata illustrata da Annamaria Pacetti sui dodici vasi tenendo conto di un’iconografia a metà tra la tradizione coreana e quella albisolese. Alla fine, Annamaria ha dovuto raccontarmi in italiano la storia che aveva illustrato sui vasi; a mia volta ho subito tradotto il racconto di Annamaria in inglese per Soo-Kyung che mi registrava. Questo intreccio di linguaggi, di iconografie, di culture e tradizioni spiega anche il testo riprodotto in catalogo proprio vicino alle foto dei dodici vasi decorati da Annamaria: si tratta della stessa leggenda coreana tradotta meccanicamente da “Altavista”10 tanto in inglese quanto in italiano.
Anche Jane Simpson ha dato vita ad un intervento fondato sulla contaminazione tra linguaggi espressivi diversi. A partire da due incisioni di Giorgio Morandi, la Simpson ha fatto ricostruire in ceramica da Mohammd Lamrahi le nature morte illustrate dal pittore italiano proprio in quelle due stampe. Una volta realizzati in ceramica, gli oggetti sono stati imbevuti di colore bianco lucido e trasparente, a simulare il ghiaccio con cui molto spesso lavora la Simpson. Con Jane abbiamo apprezzato la farinata ligure e il nostralino11 in una trattoria del centro storico di Albisola Superiore: un vero trionfo della tradizione.
Ormai preda dell’entusiasmo scaturito da questa commistione di storie e di culture, ci siamo voluti spingere oltre fino a rintracciare Lou-Laurin Lam che ha accettato di raccontarci gli anni della sua Albisola12 per poi raggiungerci insieme al figlio Timour proprio nel marzo di quest’anno. Ad Albisola ha lavorato allo Studio Ernan dove ha illustrato piatti su piatti. Su alcuni Lou-Lam ha dipinto delle rane in omaggio alla teoria di Brisset secondo il quale l’uomo discende dalla rana; altri invece sono stati dedicati a Piero Manzoni che la stessa Lou aveva avuto modo di conoscere bene proprio ad Albisola. Ecco allora i piatti su cui ne ritrae gli occhi sempre attoniti; oppure quelli intitolati Merda Solida su cui riproduce in ceramica l’ormai leggendaria merda di Manzoni13: non inscatolata questa volta, ma secondo l’interpretazione di Lou Lam, servita su un piatto di ceramica.
Infine, solo lo scorso maggio, è arrivato da Lagos El Anatsui. Allo studio Ernan, El ha lavorato trentatrè forme in argilla rendendole concave e pronte per essere riempite di frammenti di vetro colorato che nel forno, a più di mille gradi, si sono liquefatti. A temperatura ambiente si sono poi risolidificati assumendo le sembianze di tanti specchi d’acqua. Poste una dopo l’altra sul pavimento, tutte queste forme disegnano un fiume, o come lo definisce divertito El stesso, un Digital River.
Per questo progetto, che ci auguriamo essere il primo di una lunga serie di appuntamenti a cadenza biennale, El è stato l’ultimo a lavorare ad Albisola; considerando anche i tempi di lavorazione della ceramica, non ci è stato più possibile invitare altri artisti a collaborare con le maestranze locali.
Alla comunità locale e ai visitatori, infatti, non vengono imposte opere realizzate altrove secondo una consuetudine curatoriale piuttosto comune. Il tentativo è infatti quello di trasgredire le regole del mercato globale che pianifica, uniformandola e rendendola anonima e silenziosa, tutta la produzione “made” in un luogo qualsiasi e reperibile praticamente ovunque: dagli hamburger di McDonalds, allo stile casual di Benetton, al Guggenheim in franchising con sedi in tutto il mondo, all’arte oggi esposta alla Biennale di Venezia, domani alla Fiera di Basilea e dopodomani da Christie’s a New York. E’ questo il principio cardine dell’economia transnazionale che cerca di imporre a tutto di assomigliarsi: siano esse cose, metropoli del mondo, ma anche il modo di fare e concepire le mostre e l’arte.
Contro questa omologazione imperante, ecco far capolino anche questo meraviglioso e appassionato punto del mediterraneo che riscopre il coraggio di affermare la ricchezza della diversità e delle tradizioni sue e dei suoi ospiti. Perché, malgrado i tentativi di omogeneizzazione culturale, nel mondo non esistono solo le capitali del capitale assoggettate e uniformate ai valori dominanti. Ci sono, per fortuna, anche le diversità delle province che, come superficie planetaria, superano a dismisura quella di tutte le grandi capitali messe insieme.
Alle conferenze sulle Biennali che si sono tenute ad Arco (l’arte-fiera di Madrid) quest’anno, si diceva che non c’è più bisogno di Biennali o di grandi eventi artistici in generale in Europa o negli Stati Uniti. Questo perché a Berlino come a Londra, Milano o a New York, la gente va sempre e comunque indipendentemente dall’evento. Occorre, si diceva alla conferenza, concentrarci sui paesi extra-europei o extra-occidentali, dove realizzare grandi eventi e in cui portare una moltitudine di culture.
Ricordiamoci però, e questo lo aggiungo io, che “Occidente” non è solo Berlino, Londra, Milano o New York. In Italia, per esempio, ci sono molte zone estranee a quei valori dominanti e che mantengono gelosamente vive e intatte le proprie diversità e tipicità. L’esclusione dai grandi circuiti del mercato omologante, un tempo vista come penalizzazione, è oggi fonte di ricchezza. In un mondo uniformato e per questo sempre più assetato di differenze, luoghi come la stessa Albisola possono oggi finalmente vantare la specificità delle proprie tradizioni.
Questa riscoperta delle proprie peculiarità non deve ovviamente realizzarsi in un ottuso arroccamento e in un’autistica difesa delle differenze; piuttosto, deve servire a restituire alla cultura la sua funzione che è proprio quella di indagare contraddizioni e differenze, di valorizzarle e di metterle a confronto alimentando il dialogo e la disponibilità al cambiamento sempre foriero di crescita e arricchimento.
E’ per questo che abbiamo provato a rigirare a nostro vantaggio la stessa realtà feroce della globalizzazione: perché è proprio grazie alla globalizzazione se in questo punto del mediterraneo siamo riusciti a convogliare una moltitudine di persone provenienti da culture anche molto lontane, per scoprire la tradizione locale (in questo caso la ceramica), e per lasciare traccia di sé. Questo scambio reciproco è anche il risultato di questa globalizzazione e ne rappresenta l’aspetto migliore, o meglio il “Volto Felice”.
E tra la moltitudine, anche gli artisti sono arrivati per aprirsi con ammirevole coraggio a questo confronto. Ammirevole, poiché è sempre rischioso provare a tradurre la propria identità attraverso un mezzo non proprio e inconsueto, come è stata in questo caso la ceramica. E’ curioso notare che ciascun artista è riuscito a rimanere fedele a se stesso: ha, sì, accettato di rapportarsi al mezzo e di adattarsi alle sue caratteristiche e in questo caso particolare ai sui lunghissimi tempi, senza però farsene mai soggiogare.
E allora ringrazio, con sincera commozione (perché cultura è anche e soprattutto vulnerabilità all’emozione), tutti gli artisti che hanno partecipato arricchendo di volta in volta questo progetto con il loro entusiasmo, con la loro passione, con la loro onestà intellettuale.
I ceramisti che hanno creduto in questo progetto e che hanno lavorato tutti i week-end e di notte; proprio come il grafico che più volte ha tirato le due del mattino davanti al computer con noi.
E fondamentale è stato anche il contributo critico di tutti quelli che hanno scritto in catalogo, il cui importantissimo apporto intellettuale ha ulteriormente arricchito tutti noi e il progetto nel suo insieme.
Determinante è stata anche la fiducia di coloro che all’interno delle istituzioni locali, nazionali e internazionali ci hanno sostenuto incitandoci sempre a fare. A questo proposito voglio raccontare un aneddoto: la prima volta che abbiamo incontrato il Sindaco di Albissola Marina nel suo ufficio per illustrargli questo progetto, è venuto il terremoto (testimone anche l’Assessore Ettore Molino presente all’incontro). Era forte ed abbastanza pauroso, ma davanti alla Colombina di Fontana14, a noi che volenti o nolenti data la nostra italianità un po’ affetti da una religiosità superstiziosa e primitiva lo siamo sempre, è piaciuto interpretare quel moto tellurico come un segno del destino, un augurio dall’aldilà.
Allora, come ogni singolo lavoro, anche l’intero progetto è nato dalla terra impastata a passione e con la quale speriamo di essere riusciti a gettare il seme di un rinnovato modo di intendere la cultura e l’arte: una potenza espressiva che trae il proprio nutrimento dal contatto personale con la gente, da molteplici diversità e complessità. Un’energia vitale che si oppone con forza ai saccheggiatori del pensiero che hanno relegato l’arte e la cultura ad una delle tante forme del redditizio mercato dell’entertainment che, ovviamente, opera su scala planetaria e mercanteggia celebrità tutta chiacchiericci, cicaleggi, lustrini e paillettes.
Continuiamo, quindi, a lavorare per rafforzare quella che Susan Sontag definisce “la Repubblica Internazionale delle Lettere” e che a noi piace parafrasare ne “la Repubblica Internazionale della Cultura”.



Note:
1. Roberto Costantino ideatore e organizzatore insieme a me di questa mostra.
2. Danilo Trogu della “Casa dell’Arte” che ha creduto in questo progetto sostenendolo dall’inizio.
3. Un tipo di pasta tipica della cucina ligure.
4. Ed è proprio all’esperienza di quegli anni che ci siamo ispirati per la realizzazione di questa mostra.
5. Di ciascuno di questi cinque artisti è stata selezionata un’opera in ceramica che verrà esposta in mostra a rappresentare l’Albisola di quegli anni a cui ci siamo ispirati.
6. Si dà il caso che Fantozzi, o meglio Paolo Villaggio, sia ligure come noi.
7. Massimo Trogu è fratello di Danilo. Di lui pubblichiamo un contributo in catalogo sulla passeggiata di Albisola. Per la biografia rimando alla scheda in catalogo.
8. Il vero minestrone di verdure alla genovese è quello nel quale il cucchiaio dovrebbe restare in piedi.
9. Anna Maria Pacetti è insieme ad Ernesto Canepa titolare dell Studio Ernan design.
10. All’interno del sito www.altavista.com esiste un’opzione che permette di tradurre brevi testi in varie lingue.
11. Vino di Liguria.
12. Come racconta la stessa Lou-Laurin Lam nel testo che ha scritto per questo catalogo, Wifredo Lam ha soggiornato spesso ad Albisola insieme alla sua famiglia durante un periodo di circa venticinque anni (a cavallo tra gli anni ’60 e gli ’80)
13. Proprio negli anni in cui Lou-Laurin Lam viveva ad Albisola, Manzoni avava presentato in anteprima la sua merda d’artista in occasione di una mostra collettiva di artisti in villeggiatura al ristorante Pescetto di Albisola.
14. Nell’ufficio del Sindaco di Albissola Marina, è esposta un’opera in ceramica di Fontana, la Colombina appunto.