Scompiglio


Tiziana Casapietra



Due anni fa, studiando la costruzione della II edizione della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, abbiamo deciso di coinvolgere alcuni tra i più informati e attenti professionisti del mondo dell'arte contemporanea internazionale per formare una squadra di lavoro eterogenea ed elaborare un progetto che riflettesse, in piccola scala, la metamorfosi epocale a cui stiamo assistendo. Mi riferisco al processo di ibridazione culturale che si sta imponendo su scala planetaria, scatenato da una moltitudine in evoluzione e in movimento in cui convivono — talvolta forzatamente — una varietà di nazionalità e culture.
Dalle proposte iniziali di questo primo gruppo di lavoro, altre ne sono nate, scatenando un flusso a ondate, dove artisti invitati hanno proposto altri artisti, curatori e ceramisti hanno cominciato a realizzare opere d’arte, musicisti a fare i ceramisti, artisti a fare i musicisti, gli artisti e gli scrittori i ceramisti, i politici gli scrittori o i ceramisti, i curatori i politici, i pescatori, i performer, gli artisti i pescatori, e così via fino a creare una moltitudine di presenze e di azioni mescolate le une con le altre. Un’incalzante contaminazione di ruoli, avvenuta spontaneamente e che abbiamo incitato.
A questo proposito vorrei fare qualche esempio. Bili Bidjocka (I Biennale, II Biennale) è venuto più volte ad Albisola invitato da Olu Oguibe che a sua volta è stato invitato da noi in qualità di artista oltre che di curatore. Alla sua ennesima discesa ad Albisola, Bidjocka ha pensato di proporre il nome di un altro artista, Iké Udé che, naturalmente, abbiamo subito invitato. Young Chul Lee lo abbiamo scelto come curatore. Entrando in manifattura e assistendo alla realizzazione delle opere, non ha resistito a proporre un lavoro che coinvolgesse i cittadini. Colti a passeggio per il lungomare, all’aperitivo del Pilar o impegnate nel gioco del biliardo alla Società di Mutuo Soccorso di Albisola Capo, le persone fermate si sono lasciate coinvolgere nella realizzazione estemporanea di opere in ceramica stringendo un pugno di terra tra le mani. Anche Rainer Ganahl è riuscito a farsi nuovamente invitare con una proposta forte che prevedeva la compartecipazione di un’altra figura, quella del calligrafo iracheno Ghazi Al Delaimi.
La Biennale è diventata così una matrioska di progetti che si innescano gli uni sugli altri per dare vita ad altre possibili interrelazioni culturali e multidisciplinari. A questo proposito ecco un altro esempio, quello della scrittrice Rossana Campo, invitata da Roberto Costantino, riportata nella sua Albisola e tra le ceramiche dei suoi ricordi, a lavorare la terra con un suo compagno di scuola che nel frattempo ha aperto un laboratorio di ceramica.
Questo scatenarsi di idee e proposte si è autoalimentato al punto che nel corso degli ultimi due anni siamo riusciti a coinvolgere non solo 10 curatori ma anche più di 50 artisti provenienti da tutto il mondo, ciascuno dei quali è stato invitato a proporre un lavoro da realizzarsi in ceramica in collaborazione con le molte manifatture che hanno offerto la propria disponibilità ad aprire le fabbriche ai nostri ospiti. In questo modo professionalità nate e cresciute nel territorio locale e intrise della sua tradizione si sono incontrate con professionalità e tradizioni diverse provenienti da una varietà di luoghi in Italia e nel mondo. Insieme, questi soggetti hanno dato vita a una comunità in cui differenze e molteplicità trovano modo di esprimersi a vari livelli, dando vita a una nuova “cultura meticcia”.
Alla positiva convivenza di nazionalità diverse si va ad aggiungere l’accostamento di professionalità provenienti da disparati ambiti: non solo curatori, artisti visivi, artisti ceramisti e artigiani della ceramica, ma musicisti, scrittori, architetti, cantanti d’opera e persino pescatori, a sottolinearne l’aspetto multidisciplinare di questa Biennale. Lo stesso dicasi per la disinvolta sovrapposizione di tradizione e contemporaneità.
Disponibile a una continua reinterpretazione, la tradizione si evolve fino a ricomparire nel presente sotto altre sembianze. La tradizione, in questo caso quella della ceramica, viene così spesso ribaltata e reinventata attraverso accostamenti che molti non esiterebbero a definire eretici, dove la fisicità del materiale trova persino modo di relazionarsi alla sua assenza. Ci sono lavori nei quali la presenza della ceramica viene sostituita dalla sua evocazione “immateriale” ottenuta con il video o la musica. Mi riferisco per esempio al programma curato da Mauro Castellano che da musicista ha coinvolto ceramisti-musicisti (ad esempio Leonardo Gensini); ma anche a Trisha Donnelly, invitata da Hans-Urich Obrist, che pur provenendo dall’ambito dell’arte visiva, ha sperimentato la ceramica con l’idea di farne musica.
E vorrei anche parlare di tutti coloro che con la ceramica hanno realizzato dei video come Shimabuku, invitato da Young Chul Lee, che ha addirittura coinvolto i pescatori di Albisola per sperimentare, attraverso la ceramica, una metodologia di pesca tipica del suo paese; ma anche Andries Botha, invitato da Olu Oguibe, che addirittura la ceramica ha deciso di distruggerla facendo di questa distruzione proprio il soggetto del suo filmato.
Questo continuo intreccio di piani e approcci diversi alla ceramica, porta coloro che annullano la presenza della materia, facendo della ceramica un pretesto da cui partire per raccontare altre storie, a confrontarsi con i grandi professionisti della ceramica fedeli alla tradizione delle forme perfette, ma anche con coloro che sottopongono la ceramica a sperimentazioni, senza tuttavia liberarsi mai dai vincoli della sua presenza e concentrando la ricerca in modo esclusivo, sulle possibilità del materiale.
Come si è visto, la ceramica non è il fine ma il mezzo per alimentare una rete di scambi e sinergie tra locale e globale. Agli artisti, la maggior parte dei quali non conosce la tecnica della ceramica, viene proposta una deviazione rispetto al proprio percorso consueto per mettersi in gioco in un territorio a loro sconosciuto. La maggior parte degli artisti ha accettato la sfida di scendere dal circuito velocissimo dell’arte contemporanea per entrare nei tempi di “attesa” della ceramica e piegarsi alle sue necessità. Liberi dai condizionamenti della tecnica, propongono lavori che molto spesso i profondi conoscitori della ceramica definiscono “folli”.
La “follia” di queste proposte mette in moto delle dinamiche di ricerca, di sforzi di adattamento sia da parte degli artisti che dei ceramisti. È questo l’aspetto che ci interessa e che sta alla base del nostro progetto. In questo modo il virtuosismo della secolare tecnica ceramica viene adattato alla riuscita della realizzazione di lavori estremi. Le manifatture coinvolte devono mettere in gioco tutta la loro sapienza e talvolta stravolgerla, magari superandola, trovando soluzioni nuove per fronteggiare gli imprevisti. Da parte loro gli artisti che provengono dal mondo dell’arte contemporanea, dove spesso le idee hanno la meglio sulla competenza tecnica, devono confrontarsi con le difficoltà scaturite dalle loro proposte e spesso accettare di modificarle.
Uno degli aspetti straordinari di questa collaborazione è proprio la grande apertura della manifatture a confrontarsi con queste proposte. Quando Getulio Alviani, protagonista dell’arte programmata e cinetica degli anni ’60 e ’70, ha suggerito di realizzare in ceramica almeno uno dei “poligoni a lati progressivi inseriti nel cerchio” che solitamente costruisce in altri materiali, Sandro Lorenzini ha colto la sfida rilanciando: “ne faremo tre”. Per Alviani non si trattava di una richiesta “folle” ma certamente ai limiti del possibile o, come dice lui, dell'impossibile. Chi conosce la materia, infatti, sa bene che cosa significhi realizzare un foglio in ceramica di un millimetro di spessore, lungo e largo più di un metro. La ceramica è una materia fragile, con una vita propria, secondo leggi e dinamiche spesso imprevedibili. Una materia certamente poco docile al rigore maniacale di Getulio Alviani e forse più flessibile alla manipolazione informale di Kristian Hornsleth.
Hornsleth era già stato invitato a realizzare un lavoro in collaborazione con La Casa dell’Arte per la I edizione della Biennale. Successivamente ha continuato ad alimentare il suo contatto con la terra con la quale ha prodotto decine di lavori per altre mostre. Per la II edizione della Biennale l’artista offre alla città i suoi mostri dorati quale ironico ammonimento contro un benessere certamente diffuso, ma privo di cultura.
Lo stesso rapporto si è stabilito con l’artista corena Soo-Kyung Lee (I Biennale, II Biennale). Alla I Biennale, Soo-Kyung Lee aveva chiesto ad Annamaria Pacetti dello Studio Ernan Design di interpretare a suo modo e su vasi realizzati ad Albisola, decorazioni e storie tradizionali coreane per creare un cordone in grado di unire le due tradizioni. A una successiva mostra in Corea, l’artista aveva presentato il video girato allo Studio Ernan mentre Annamaria Pacetti realizzava quelle decorazioni. Soo-Kyung Lee è stata invitata alla II edizione della Biennale per darle modo di sviluppare ulteriormente questa serie di  relazioni. In questa occasione, ha incontrato una decina di famiglie di Savona e Albisola alle quali ha chiesto quali piatti in ceramica in loro possesso fossero particolarmente importanti per la loro storia familiare e il motivo di questa scelta. I racconti sono stati filmati e verranno presentati durante l’esposizione. Le copie dei piatti, realizzate nel corso di quest'ultimo anno da alcune manifatture albisolesi, serviranno a Soo-Kyung Lee durante l'inaugurazione della Biennale per servire al pubblico cibo coreano. Così come Alviani, anche Soo-Kyung Lee non ha mai toccato la terra, ma l’ha solo pensata nell’ambito di un progetto.
È questo un approccio comune a molti altri artisti che pongono l’accento sulla progettazione del lavoro piuttosto che sulla sua esecuzione materiale.
Olu Oguibe è stato invitato alla II edizione della Biennale sotto duplice veste: come curatore e come artista. Come artista, avendo familiarità con la materia, è voluto intervenire lui stesso direttamente sulla terra modellando le oltre 100 statuine della sua scacchiera e dipingendo un enorme murale su piastrelle in ceramica. Anche la sua installazione ha un impatto che va al di là del materiale utilizzato. Questa installazione monumentale è infatti una riflessione sui “potenti della terra” ritratti sulle piastrelle mentre giocano a scacchi i destini del mondo, un rimando alla I edizione della Biennale che si è inaugurata nei giorni in cui, a 40 chilometri di distanza, il G8 di Genova era teatro di violenti conflitti sociali (21 luglio 2001).
Il desiderio di rimescolare le carte e creare un po’ di scompiglio nella stabilità dei ruoli e delle competenze fisse, riflette le nuove e più veloci dinamiche di cambiamento e riadattamento del mondo contemporaneo. In particolare, la voglia di gettare l’arte contemporanea in pasto alla ceramica e viceversa, sta alla base di un progetto in evoluzione che proprio per questo abbiamo intitolato “Biennale di Ceramica — nell’Arte Contemporanea”.