Olu Oguibe

Olu Oguibe, Game

Olu Oguibe, Game

Olu Oguibe, Game (particolare)

Olu Oguibe, Game (particolare)

Olu Oguibe, Game (particolare)

Gioco

Il mio primo viaggio in Liguria è stato piacevole e indimenticabile. Tuttavia, il soggiorno è coinciso con un periodo di inquietudine e di tensione che si è concluso in tragedia. Mentre festeggiavamo il rinnovarsi della storica collaborazione tra gli artisti contemporanei e i ceramisti di Albisola, a Genova era in corso un violento scontro tra le forze dell’ordine incaricate di proteggere il G8, il raduno annuale dei leader delle otto maggiori potenze industrializzate del mondo, e le migliaia di militanti che si erano riunite per protestare contro l’ordine del giorno del meeting e le rapaci tendenze della globalizzazione. Le celebrazioni di Albisola, che hanno contrassegnato la prima edizione della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, erano state definite come “il volto felice della globalizzazione” perché si era riusciti a radunare artisti internazionali, convenuti per lavorare insieme e riconoscere la maestria e la rilevanza dell’industria locale, secondo una modalità che si potrebbe indicare come una positiva dimostrazione di glocalizzazione. Le nostre celebrazioni rappresentavano il volto felice della globalizzazione anche rispetto al raduno che si stava svolgendo a Genova, dove i potenti discutevano per decidere il destino di milioni di persone che non erano né rappresentati, né avevano la possibilità di contrastare le loro macchinazioni. In effetti, se da un lato la Biennale di Albisola e le collaborazioni che aveva innescato si presentavano come una dimostrazione delle positive possibilità di interazione tra globale e locale, il raduno di Genova rappresentava il volto tragico della vita contemporanea.
La tragedia ha acquisito un’indimenticabile dimensione drammatica quando a Genova un giovane attivista, Carlo Giuliani, è stato giustiziato a sangue freddo dalle forze dell’ordine e lasciato morente per la strada. Il contrasto tra questo incidente e le nostre celebrazioni è stato indelebile. Ad Albisola il calore e l’entusiasmo facevano da cornice ai racconti intessuti di rispetto professionale e di scoperta reciproca che si dipanavano dagli scambi creativi, mentre dall’altra parte otto potenti stranieri giunti con il loro seguito di guardie e auto blindate, si erano lasciati alle spalle una città in rovina e un giovane uomo a terra. Questo tragico paradosso mi ha accompagnato a lungo e per reazione ho scritto una breve poesia che ho intitolato La Ballata di Carlo Giuliani. Inoltre, mi ero ripromesso che se fossi ritornato in Liguria come artista, avrei creato un’opera d’arte imperniata sull’elaborata macchina che aveva condotto Carlo e i suoi compagni di protesta a Genova, una macchina talmente complessa e diabolica che pochissimi di loro sono riusciti a comprendere.
L’invito a tornare in Liguria come artista mi è giunto dai direttori artistici della Biennale, ma l’opera che volevo realizzare ha avuto bisogno di molto tempo per materializzarsi. Fino all’ultimo, non ho capito se le mie metafore avrebbero potuto combinarsi in modo appropriato per affrontare il tema che mi era venuto in mente più di un anno prima. Anche il titolo è sopraggiunto più tardi, dopo aver terminato il lavoro e lasciato la Liguria.
Come il suo soggetto, Game è un’elaborata installazione composta da un grande murale in ceramica, dall’occorrente per un gioco di simulazione, un tavolo e due sedie. A prima vista, il gioco sembra quello degli scacchi, con 64 riquadri in ceramica bianchi e neri che si alternano e un’insolita linea diagonale arancione. Però, invece del numero tradizionale di pedine degli scacchi, ho realizzato centouno figurine in terracotta. Non rappresentano né re, né regine, ma le masse di persone che oggi attraversano il pianeta. Immigrati, rifugiati, viaggiatori, cittadini, ognuno di loro è una pedina in questo gioco indeterminato e globale, in cui i veri giocatori e gli arbitri sono presenze opache o invisibili, che stanno al di là della portata dei cittadini ordinari. In questo straordinario gioco di potere, denaro, territori e desideri, le masse inconsapevoli vengono usate, sfruttate, spostate, evacuate, ripulite, svendute come meri incidenti collaterali, necessari e inevitabili. Le culture vengono sradicate e spazzate via dalle terre d’origine. Le popolazioni sono deportate nelle città a vagare sconvolte e disorientate. Chi emigra combatte, inesorabilmente e senza paura, in frontiere divenute sempre più strette. Comunque, le masse vanno avanti, una moltitudine di pedine, come la folla dei dannati dell’Inferno di Dante Alighieri, annullate non dalla morte, ma dalla civilizzazione e dal progresso.
Sul murale di ceramica si trovano otto figure, tutte maschili, che rappresentano i leader del G8. Ognuno indossa abiti coloniali, ispirati in parte all’arte dei pannelli murali del popolo Nkanu, che abita il Congo e l’Angola (a dire il vero, tutto il murale, nel suo progetto generale, trae ispirazione dai pannelli Nkanu). Nelle analisi che ho compiuto prima di realizzare il lavoro, ho cercato modelli africani che rappresentassero il colonialismo. In tutto il continente ho trovato un grande utilizzo del motivo dell’elmetto coloniale, forse perché era l’emblema più visibile degli ufficiali distrettuali che a quei tempi rappresentavano le autorità. Nell’epoca della globalizzazione, il buon senso appreso dalla storia suggerisce che la presenza coloniale, imposta dal colono in carne e ossa, è qualcosa di ridondante, per questo è stata rimpiazzata da un controllo remoto sull’informazione, esercitato dalle reti dei sistemi politici e mercantili globali, e dalla dispersione delle persone e delle risorse. Tuttavia, i recentissimi eventi della politica globale hanno fornito prove rilevanti del risorgere di un colonialismo “colonizzatore”. Nel montare la guardia sul resto del mondo, gli otto uomini forti del nuovo Impero sorvegliano e manipolano lo strano gioco dell’usurpazione e della dominazione globali. Come Cesare o re Leopoldo, spostano le loro forze ovunque vogliano, occupano qualsiasi terra scelgano, cacciano i governanti sgraditi e istituiscono nuovi regimi coloniali e armate d’occupazione. L’elmetto può essere diverso, ma i modelli non sono cambiati. In altre parole, i motivi e le metafore degli ufficiali distrettuali coloniali oggi si rivelano funzionali ed evidenti proprio come un secolo fa.
Ho prodotto l’intera l’opera nel corso di due sessioni di lavoro presso lo Studio Ernan di Albisola, nel 2002. In agosto, in due giorni di intenso lavoro, ho realizzato le 101 figurine di terracotta e ho iniziato il murale che ho terminato in pochi giorni a ottobre. Oltre alla possibilità di lavorare di nuovo con l’argilla, per creare un’opera che rispondesse in qualche modo all’esperienza e alle emozioni provate nel corso del mio primo viaggio in Liguria, lavorare ad Albisola è stato memorabile per molte altre ragioni. Serberò sempre nel cuore l’atmosfera spesso agitata, ma generosa, del lavoro con Ernesto Canepa e il suo laboratorio, Gianna, Annamaria e Bouchaib, tutti maestri artigiani che hanno tollerato la mia invasione del loro spazio, offrendo spontaneamente consigli e preoccupandosi sinceramente per me, avendo l’impressione che vivessi solo di Coca Cola e lavoro. Nel corso dell’estate e dell’autunno, ho vissuto una meravigliosa esperienza di lavoro ad Albisola e ho stretto nuove amicizie con artisti che fino ad allora conoscevo solo di fama. Nel laboratorio Ernan ho avuto la rara opportunità di lavorare con il mio amico Bili Bidjocka, un artista che rispetto molto e sul cui lavoro ho discorso a lungo. Dall’altra parte di Albisola, sono stato accolto nel laboratorio a conduzione familiare delle Ceramiche San Giorgio, dove vari decenni fa aveva lavorato Wifredo Lam e dove ho dipinto un piatto in ceramica da esporre, immaginando di essere al suo posto. Una diversa generazione, un volto diverso, ma grazie alla Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, permane lo stesso spirito.
Lavorare in Liguria è stata un’avventura gratificante e la raccomanderei a qualsiasi artista abbia il desiderio di una profonda esperienza creativa che si spinga al di là delle manovre di packaging delle pratiche artistiche contemporanee.

Olu Oguibe

Angel Rogelio Oliva Lloret

Angel Rogelio Oliva Lloret, Mare Nostrum

Angel Rogelio Oliva Lloret, Mare Nostrum  (particolare)

Angel Rogelio Oliva Lloret, Mare Nostrum  (particolare)

Mare Nostrum

Il tema del lavoro realizzato ad Albisola è antico e pur sempre presente nella storia dell’umanità: l’emigrazione. Il corpo umano è il vettore dei valori di chi emigra e al tempo stesso è il ricettore dei nuovi valori da assimilare. Per cui ciascuno appare con il proprio mare interiore e uno specifico motivo per navigare, simboleggiato da frutti tropicali che nella nostra cultura hanno diversi significati. I pesci che volano anziché nuotare rappresentano le migrazioni costanti nel mondo animale. Le barche di carta evocano il primo sogno infantile legato al viaggio che accompagnerà l’uomo per tutta la vita, un fenomeno diffuso in tutti i tempi e a tutte le latitudini, da cui il titolo: Mare Nostrum.

Angel Rogelio Oliva Lloret

Luca Pancrazzi

Luca Pancrazzi, Gli stati d'animo

Luca Pancrazzi, Gli stati d'animo

Luca Pancrazzi, Gli stati d'animo, Ex Stazione Ferroviaria, Vado Ligure

Luca Pancrazzi, Gli stati d'animo, Ex Stazione Ferroviaria, Vado Ligure

Luca Pancrazzi, Gli stati d'animo, Ex Stazione Ferroviaria, Vado Ligure

Gli stati d’animo

Gli stati d’animo. Quelli che partono e quelli che restano
Un omaggio a Umberto Boccioni e Rivo Barsotti

Il progetto prevede la dislocazione in due punti diversi, di opere in ceramica che compongono insieme un omaggio a Umberto Boccioni e a Rivo Barsotti, create appositamente per i due luoghi. Se il futurismo di Ivos Pacetti ha incontrato la ceramica albisolese, non ho traccia di un passaggio di Boccioni, ma il suo lavoro ha lasciato tracce dentro di me. Due quadri intitolati Quelli che partono e Quelli che restano, dalla serie “Gli stati d’animo”, vengono citati nelle due installazioni realizzate per la seconda edizione della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea. Rivo Barsotti ha lasciato un’impronta tra i manufatti artistici della zona ed è soprattutto alla sua maestria che devo la realizzazione dei miei primi lavori in ceramica dedicati ai testi. Il suo nome, abbreviazione di Rivoluzionario, mi ha subito ispirato simpatia e rappresenta a sua volta un omaggio al futurismo.

Quelli che partono
La distanza è sicurezza
Ex stazione FFSS, Vado Ligure

Questa stazione, quasi in disuso, è al centro della parte marittima di Vado. Dislocata in modo strategico rispetto alle espansioni moderne dell’inizio del secolo, è oggi un reperto di archeologia delle infrastrutture. Da quando una frana nella galleria vicina ha ostacolato l’accesso da Ovest lo scalo è isolato e funziona solo come scalo merci per la gigante centrale elettrica vicina.
Oggi si notano principalmente segni di abbandono, pur apprezzandone l’architettura e in qualche modo la conservazione dovuta più che altro all’abbandono: il sottopassaggio tra il primo e il secondo binario è pericolante ed è lasciato allagare a ogni pioggia; i restauri sono tesi solo a tamponare, come per i lucernari in vetro cemento della banchina del primo binario, coperti, murati anziché riparati; l’orologio in facciata, nonostante abbia perso le sue lancette, mantiene la sua funzione di alleggerire come una ruota del tempo l’orizzontalità della struttura, rendendola movibile.
L’abbandono almeno ha permesso che molte cose venissero lasciate intatte, come le porte in ottone e in vetro, il marmo dei pavimenti e delle soglie, le lettere in ottone sopra le porte degli uffici, alcuni infissi e soprattutto ha risparmiato l’inserimento di accessori successivi.

Progetto
Due figure stanno in piedi vicino alla biglietteria, scure e anonimamente classiche, senza tempo. Una è rivolta verso il vetro della biglietteria e dai gesti minimi ci pare che stia discutendo con il bigliettaio sul tragitto e sul costo del biglietto. L’altra è dietro la prima, sembra in fila, ma è distratta. Potrebbe essere l’accompagnatore del primo che, per rispetto all’intimità della conversazione, non si avvicina troppo al vetro. Questa figura è distratta da qualcosa che la fa rivolgere verso le porte a vetro dell’ingresso. Ma la sua classica atemporalità è tradita da un oggetto che porta vicino alla faccia tenendolo con due mani, è un oggetto metallico e moderno, potrebbe essere una telecamera che inquadra e riprende chi lo osserva.
Come per proteggere militarmente le spalle dell’accompagnato, l’accompagnatore coglie uno spostamento in direzione dell’ingresso e punta il mirino verso chi arriva.
Questa seconda figura fa da tramite tra l’attualità dell’osservatore e l’atemporalità della scena. Attraverso la telecamera lo sguardo dello spettatore arriva a penetrare la scena sino al vetro, cercando nella superficie scura e specchiante il volto del viaggiatore e insieme quello del bigliettaio che sta al di là. “Il viaggio è il viaggiatore”, diceva Pessoa… “Non parto non resto” diceva Boetti.
Il binario è vuoto, il treno è perso o è in ritardo.
Una scritta in ceramica, “la distanza è sicurezza”, sarà installata in una nicchia esterna della stazione.
La scritta è composta da lettere in ceramica smaltate al platino in terzo fuoco.
L’orologio della stazione dovrà essere restaurato.

Luca Pancrazzi

Bruno Peinado

Bruno Peinado, Senza titolo. Mire Suprematiste 2

Alessandro Pessoli

Alessandro Pessoli, Untitled

Alessandro Pessoli, Untitled

Goccioline

Mi piace toccare la terra, la puoi bucare, la puoi tagliare, la prendi a pugni e l’accarezzi, è docile e ostinata, la metti nel forno e diventa tutta rossa, un bellissimo rosso fiamma... poi la puoi colorare... e ancora deve tornare a incendiarsi per uscire con la sua nuova pelle tirata a lucido.
Allora comincia subito a stiracchiarsi, come se nelle fiamme avesse sognato… fa un sacco di rumorini... scricchiolii… e io ho il timore che il risveglio sia troppo brusco, che il mondo così com’è non le piaccia molto, che se ne voglia andare in frantumi... tanto per farmi un dispetto. Per questo io e Danilo le avvolgiamo intorno degli asciugamani, perché rimanga al calduccio ancora un po’... e abbiamo le attenzioni che si usano con un neonato. Mi piace la ceramica perché milioni di mani l’hanno fatta prima di me, e in seguito continueranno a farla, perché è come entrare dentro un oceano di gesti ripetuti all’infinito e ciascuno con il suo peso e la sua grazia... cosi mi sento come una gocciolina d’acqua… come l’acqua di questo pianeta che assume mille forme, se ne sta al buio nella terra e galleggia pigra nella luce, ma è sempre la stessa quantità dell’inizio di tutto quanto.

Alessandro Pessoli

Carla Rossi

Carla Rossi, Senza titolo

Carla Rossi, Senza titolo

Carla Rossi, Senza titolo

Hong Myung Seop

Hong Myung Seop, Para-sito

Hong Myung Seop, Para-sito

Hong Myung Seop, Para-sito

Hong Myung Seop, Para-sito

Para-sito-parassita

Quando ho cominciato a riflettere sulla “Ceramica nell’arte contemporanea”, mi ha interessato l’idea di una possibile materializzazione dell’arte attuale nella forma primordiale della cottura dell’argilla, una delle più antiche pratiche culturali della storia dell'uomo.
Ho soppesato in profondità il modo in cui poter utilizzare questa forma d'incontro tra l’acqua, la terra e il fuoco nell’epoca della cultura dell'immagine, riflettendo sulla maniera in cui poter lanciare un ponte tra la forma convenzionale di cottura dell’argilla e la situazione artistica contemporanea. Nel mio lavoro, questo sarà soltanto un mezzo temporaneo?
La cosa più importante, per me, era che avrei avuto l’opportunità di creare un oggetto in ceramica, un oggetto a cui volevo dare espressione proprio nei termini della ceramica, ma che non mi era mai stato possibile realizzare a causa delle mie carenze tecniche.
Per lungo tempo mi sono interessato a un fenomeno che io definisco “meta-modello”, descrivibile come una somiglianza tra specie completamente differenti. Perciò, avevo concepito un'opera in ceramica con la forma di un gheriglio di noce ingrandito. Con questo lavoro volevo evocare lo spirito animale, in quanto la forma del gheriglio delle noci mi appariva simile a quella del cervello dell'uomo. Per me, parlare di spirito animale ha lo stesso valore che riveste l’accettazione dell'idea che anche le piante abbiano un'anima. Inoltre, il mimetismo degli animali, quello delle piante e quello degli esseri umani ha la medesima importanza, secondo una prospettiva culturale in cui sono compresi i processi ecologici.
Tuttavia, non ho potuto realizzare questa mia idea perché non era facile arrivare a dare una forma concreta ai miei schizzi preliminari e perché, inoltre, c'era un salto tra la mia idea e i processi convenzionali mediante i quali si lavora la ceramica. Successivamente, il modo migliore per arrivare a comprenderli è stato di utilizzare un disco rotante, per trovare un mio metodo personale di lavoro.
Perciò, ho stabilito che il mio primo obiettivo sarebbe stato quello di appianare il conflitto tra l'insieme dei prodotti ceramici generici e le mie idee personali. Di solito, io prendo in considerazione da un punto di vista tecnologico il problema del “sito”, del “qui e là”, del “sito nascosto e indistinto prodotto dai parassiti”. In particolare, io definisco quest’ultimo caso come “para-sito parassita”.
Grazie alle mie lunghe riflessioni, sono riuscito a trovare un punto di contatto, rappresentato dall’opera riproduttiva a cui dà origine l’espansione dell’uovo. Questo ha inoltre prodotto una struttura dicotomica e parassitaria, che sono riuscito a ottenere grazie all’aiuto dei ceramisti. Dieci elementi con la forma di un uovo in padella rifletteranno e ricorderanno l'anonimato dei luoghi in cui saranno posti per svolgere la loro funzione parassita.
La superficie di ciascun pezzo evocherà in modo umoristico il paesaggio, la luce della luna e quella del sole della spiaggia di Albisola. L’albume dell'uovo, che sembra linfa o acqua, sarà veramente fritto in un forno. Di conseguenza, il mio lavoro diventerà un vero atto di devozione in favore della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea.

Hong Myung Seop

Shimabuku

Shimabuku, Catching Octopus with self-made ceramics

Shimabuku, Catching Octopus with self-made ceramics

Shimabuku, Catching Octopus with self-made ceramics

Shimabuku, Catching Octopus with self-made ceramics

La pesca dei polpi

Ad Albisola mi sono sentito davvero come a casa, perché ho trovato il mare, la montagna e i polpi, proprio come nella città in cui abito, Kobe! Che sorpresa scoprire al ristorante dell'hotel le pietanze con i polpi! Così mi sono chiesto come vengano pescati i polpi ad Albisola. Nella mia città, si usano vasi in ceramica: si legano molti vasi a una lunga fune e si calano sul fondo del mare, senza usare esche di sorta. Quando le trappole vengono tirate su, dopo uno o due giorni, dentro i vasi si trovano i polpi. Questo metodo si basa sul fatto che questi animali amano gli spazi ristretti. Danilo, il maestro ceramista che ha lavorato con me, mi ha raccontato che moltissimo tempo fa anche in Italia si usava un metodo simile per pescare i polpi.
Allora, Danilo e io abbiamo deciso di utilizzare nuovamente questo metodo, tuttora adoperato nella mia città e usato anticamente in Italia, per pescare i polpi nell’Albisola di oggi, e a questo scopo abbiamo appositamente creato dei vasi per polpi.

Shimabuku

Nedko Solakov

Nedko Solakov, Fear

Nedko Solakov, Fear  1

Nedko Solakov, Fear  2

Nedko Solakov, Fear  3

Nedko Solakov, Fear  4

Nedko Solakov, Fear  5

Nedko Solakov, Fear  6

Nedko Solakov, Fear  7

Nedko Solakov, Fear  8

Nedko Solakov, Fear  9

Nedko Solakov, Fear  10

Paura

Io ho paura di volare. Ho davvero paura. E per come mi vanno le cose adesso, sono costretto a volare di continuo. Prima della partenza prendo sempre una pillola. A volte, se è un volo transoceanico, ne prendo due. Naturalmente, non basta per allontanare la paura. Quando sono in aereo, recito in continuazione una mia preghiera, una specie di mantra molto personale. Anche questo non basta. La maggior parte del tempo, quasi tutto il tempo, “stringo i pollici” per ingraziarmi la buona sorte. Tocco anche l’aereo con i pugni. Per propiziarmi la buona fortuna.
Quando sono stato invitato a creare una scultura in ceramica per la Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, non ero molto sicuro di accettare. Ma poi, un giorno, mentre ero in aereo per andare a una mostra, stringendomi furiosamente e penosamente i pugni, ho capito cosa avrebbe potuto rendermi interessato a realizzare qualcosa con l’argilla, un materiale indubbiamente classico.
Ho chiesto agli organizzatori di mandarmi un po’ della migliore argilla di Albisola. Tra il 3 luglio e il 15 settembre del 2002, ho tenuto delle palline di argilla in mano durante tutti i viaggi in aereo effettuati per raggiungere varie destinazioni. Trasformare queste palle in opere d’arte è stato molto facile. Ho semplicemente sfruttato la mia paura naturale (e acquisita) dell’aereo, continuando a stringerle fra i pugni per tutto il tempo. Alcune le ho tenute in mano per tre ore, altre per una. Questo sofisticato materiale ha catturato le convulsioni nervose delle mie mani terrorizzate, scatenate da tutti quei sobbalzi, dai pianti dei bambini e dai momenti di volo relativamente calmo (che sono i peggiori perché mi aspetto che succeda qualcosa — per l’amor di Dio, no! — ogni minuto). Ho smesso la serie della Paura quando ho dovuto ripetere un viaggio in aereo, che per caso è stato quello Sofia-Monaco. Nel frattempo, nel corso di un soggiorno ad Albisola, ho lasciato le prime tre coppie di sculture della Paura per farle cuocere da un ceramista professionista. Le altre sette paia sono rimaste nel mio studio di Sofia per parecchi mesi, a seccare.
Non c’è bisogno di dire che ho anche altre paure. Una di queste si è manifestata quando mi è venuto in mente che, se avessi inviato le sculture d’argilla grezza in Italia con un corriere, si sarebbero potute danneggiare. Così, ho deciso di cuocerle in Bulgaria e di inviarle in modo sicuro più tardi, quando fossero state pezzi di terracotta già cotti e più robusti. Tuttavia, le mie conoscenze sul modo di cuocere la ceramica sono piuttosto vaghe. Dopo aver domandato in giro per noleggiare una forno, alla fine ho deciso di usare quello non troppo professionale in cui mio padre cuoce le sue piccole sculture astratte ed estremamente belle. Lui è stato felice di aiutarmi. Anche se non conosceva questa argilla particolare, ha suggerito di procedere come lui fa normalmente e di infornare le figurine a bassa temperatura nel forno della cucina di mia madre fino a che non fosse evaporata tutta l’umidità, per poi cuocerle in una vera fornace, in grado di raggiungere abbastanza velocemente alte temperature. No, ho detto io, le mie sculture della Paura sono già abbastanza secche; sono rimaste a seccare per sette mesi. Forse dovrei anche dire che nonostante la mia cautela e i miei dubbi su tutto, anch’io faccio cose davvero stupide. Benché mio padre non fosse convinto, ho fatto pesare la mia autorità, essendo quello più famoso, come artista, fra noi due. Le leggi di natura si sono naturalmente fatte sentire. Dopo venti minuti di cottura, il mio ansiosissimo papà è entrato in salotto dicendo che si sentivano rumori di esplosioni, provenienti dalla fornace nel suo studio. Abbiamo spento e dopo averne aperto lo sportello davanti ai nostri occhi si è manifestata una visione devastante. Tutte le sculture della Paura, il testamento del mio panico a ben 10.000 metri di altezza, erano in pezzi, alcuni più grandi e altri più piccoli. A quel punto è sopraggiunta un’altra paura. I miei genitori (entrambi con seri problemi cardiaci) hanno iniziato a preoccuparsi moltissimo. Ho dovuto recuperare qualcosa e assicurarli che sarei stato in grado di gestire la situazione. Il famoso proverbio bulgaro “dal male può nascere il bene” mi è venuto in mente e li ho convinti che a quel punto le mie sculture erano decisamente migliorate e che il concetto dell’opera era divenuto ancora più profondo. Per fortuna, il secondo gruppo di sculture d’argilla che si sarebbe dovuto cuocere successivamente nella piccola fornace era ancora intatto, così mio padre lo ha cotto (insieme ai pezzi rotti del primo gruppo) secondo il suo metodo e tutto è riuscito al meglio, naturalmente.
Quello che si vede ora, caro spettatore, è una combinazione di sculture della Paura andate in pezzi e rimaste intere. Tutti i sottili frammenti che si vedono appartengono a questo o a quel pezzo particolare. Ho passato molte ore a restaurare la loro forma. Per colpa della mia stupidità, la mia idea originale è andata distrutta, anche se tutta l’argilla che si trova qui, indipendentemente dal numero dei frammenti in cui adesso appare, era con me in quei dieci aerei e credo che ognuno di questi pezzi rechi con sé tracce della paura che ho provato in quei dieci voli. Sono anche superstizioso. Il pensiero che ora mi opprime è questo: se queste piccole sculture della Paura così accuratamente preparate si sono in parte frantumate, che sarà di me e degli aerei che in futuro sarò costretto a prendere? Che cosa potrei tenere e stringere in mano ora, mentre sono ancora a terra, per cercare di superare questa nuova paura, sorta adesso a causa di queste sculture della Paura andate in pezzi?
D’ora in poi, potrò ancora andare in aereo?.

Nedko Solakov

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