Il fenomeno delle Biennali e la globalizzazione degfli scambi culturali


Raphael Chikukwa



L’argomento che mi piacerebbe affrontare riguarda la cosiddetta questione della globalizzazione. A mio giudizio, questo fenomeno non comprende il mondo in via di sviluppo, perché c’è una mancanza di scelta nell’informazione.
In Africa non abbiamo accesso all’informazione che proviene dal mondo dell’arte contemporanea internazionale. Tutto quello che si può leggere riguarda solo l’occidente e il Sudafrica. Il resto dell’Africa non esiste nel mondo dell’arte contemporanea, nonostante gli uomini africani si dipingessero il corpo ancor prima di dipingere sulle rocce, mentre Picasso aveva preso ispirazione dalle maschere africane.
Si dovrebbe rivisitare la questione della globalizzazione, perché l’Africa e altre parti del mondo sono discriminate, nonostante in occidente ci si dia un gran da fare per parlare di globalizzazione, realtà che serve solo quegli interessi. Adesso io sono qui a parlare con voi, ma vale la pena ricordare quello che si è costretti a passare per venire in Occidente: bisogna dichiarare chi sono i propri parenti, perfino i gatti e i cani dei propri genitori, per avere il visto e riuscire a mettere fine a tutti i problemi e le lungaggini degli uffici immigrazione negli aeroporti e alle frontiere. All’opposto, quando devono venire in Africa, gli occidentali entrano ed escono come vogliono. E mentre qui continuiamo a parlare del “volto felice del villaggio globale”, in realtà per chi non è occidentale non c’è nessuna libertà di movimento nelle altre parti del mondo. 
Se mai volessimo fare in modo che questa cosiddetta globalizzazione sia un sogno che si avvera, in modo che tutti possano mangiare una fetta di quella torta, bisogna che avvenga in maniera equa. 
Sono stato in contatto con Flash Art, chiedendo loro se volevano un corrispondente in Africa e mi hanno detto di averne uno in Sudafrica. Sfortunatamente, tutto atterra in Sudafrica e finisce lì.  
Nel 2001 sono stato curator in-residence al centro Pas-Quart di Biel in Svizzera e sono riuscito a visitare la Biennale di Venezia. Quando sono arrivato nel padiglione principale, sono rimasto sorpreso vedendo le bandiere di tutto il mondo, compresa quella del mio paese e di altri paesi dimenticati. Entrando per visitare la mostra, però, ho potuto trovare solo arte occidentale e, se non vado errato, il Sudafrica rappresentava l’intero continente africano. Continuando a leggere di più su ciò che sta succedendo nella comunità globale dell’arte, ho scoperto che c’è molto che possiamo fare gli uni per gli altri, ma se rimaniamo in silenzio nessuno ci ascolterà. Nella nostra lingua Shona si dice: “Mwana asingachemi anofira mumbereko”, che significa: “il bambino che non piange morirà in braccio alla madre”. 
Questo convegno dovrebbe cercare un modo per superare questo stato di cose, perché “il volto felice del villaggio globale” non deve essere soltanto per pochi prescelti. Ho collaborato alla seconda Biennale di Johannesburg, nel 1997, che venne chiusa prima della data stabilita, perché la comunità locale aveva avuto la sensazione che l’Africa non fosse rappresentata abbastanza e che l’arte effettivamente in mostra fosse solo per l’élite. La maggior parte dei sudafricani pensava che la mostra avrebbe dovuto presentare i sudafricani e il resto degli africani all’occidente e non che fossimo noi a dover vedere ciò che faceva l’occidente. 
Quella Biennale, invece, fu come qualsiasi altra Biennale e fornì al curatore Okwui Enwezor il biglietto per andare a curare Documenta XI, cosa di cui siamo tutti contenti poiché è un fratello africano ed è stato il primo africano che abbia curato un grande evento come quello. L’occidente ha molto da imparare dall’Africa e l’Africa ha molto da imparare dall’occidente. 
Ai miei colleghi e fratelli che hanno costruito delle nuove case qui in occidente, vorrei dire che c’è bisogno che reinvestano sulla loro patria in Africa e che smettano di guardare dall’alto in basso il loro stesso continente Africa. Il fatto di vedere sempre le stesse persone e gli stessi nomi, nelle mostre e nei dibattiti internazionali dovrebbe finire una buona volta, perché l’arte è soprattutto condivisione. Spero che parteciperemo tutti a questo “volto felice del villaggio globale”.



Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.



Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea