Cartografia di un’utopia concreta


Conversando con Yona Friedman

Hans-Ulrich Obrist



Hans-Ulrich Obrist: I diagrammi e i disegni che lei ha realizzato come architetto e urbanista hanno anch’essi un ruolo significativo: sono una specie di cartografia di un’Utopia Concreta.
Yona Friedman: Vorrei precisare queste parole. Per me, un’utopia diviene realizzabile se ha un software (tutte le utopie ne hanno uno), ma anche un obiettivo chiaramente definito. In questo caso, per me il software consiste nelle “istruzioni per l’uso” e – cosa importante – nella visualizzazione del risultato che seguirà.
Le utopie possono anche essere considerate qualcosa di concreto (qualsiasi cosa questo termine voglia dire), privo di “istruzioni” e “visualizzazione”, ma non sarebbero necessariamente “realizzabili”.
Ho sempre cercato di mettere in evidenza che i miei disegni sono solo visualizzazioni. Finora, ho avuto l’opportunità di realizzarli davvero una o due volte. In questi casi, la condizione era che in ciascun progetto i singoli potessero agire nel modo a loro più congeniale, senza alcun tentativo da parte mia di influenzarli e senza alcuna previsione riguardo alla forma futura dell’oggetto.

HUO: In un certo senso, questo ci porta anche all’idea di organizzazione libera, di auto-organizzazione dell’Utopia.
YF: Nell’architettura mobile c’è soltanto un numero minimo di punti materiali fissi; non ci sono quasi le fondamenta e se possibile non c’è nemmeno la rete, per far sì che ciò che si edifica sia il più indipendente possibile dalle reti, così da avere un quartiere che è veramente solo un contenitore mobile. Perciò, in pratica si può pensare che un quartiere realizzato con architetture mobili possa cambiare forma, o perlomeno una parte della sua forma, ogni ventiquattro ore. È qualcosa che si può immaginare ed è proprio ciò che ho cercato di fare: insomma, tecnicamente è fattibile. Le complicazioni sono legate al consenso. Non tutti vogliono la mobilità. La gente, in gran parte, è conservatrice e il risultato è un equilibrio che oscilla costantemente tra mobilità e immobilità. Questo è il modo in cui vive l’animale uomo.

HUO: Lei ha anche parlato dei pettegolezzi come di movimenti erratici interni alla città.
YF: La comunicazione è sempre erratica. Insisto sempre sulla particolarità e sull’irregolarità dei comportamenti, un fenomeno che io definisco come erraticità, perché erraticità vuol dire che pur conoscendo uno stato del sistema, non si ha alcuna idea di quali potranno essere i suoi stati futuri.

HUO: E cosa mi può dire della sua teoria sugli aspetti materiali e immateriali della città?
YF: È un’idea dell’animale uomo, quella di fissare delle regole e poter essere libero al loro interno. La vera libertà dipende in grandissima misura dalla giusta mescolanza, dalla giusta proporzione fra ciò che è fisso e ciò che non lo è. Proprio per questo, in realtà, non riesco a considerarmi un architetto a pieno titolo, perché gli aspetti non architettonici della vita spesso mi interessano di più; il lato puramente professionale non è sempre così interessante.